Dubbi sulla risurrezione

La fede pasquale fu annunciata prima che si iniziasse a parlare del sepolcro vuoto

21 aprile 2019

(Nina Streeck) Il messaggio suona più ingombrante che mai: Gesù Cristo è risorto. Chi lo crede sembra aver preservato una traccia di velleità infantile e aver conservato nel proprio cuore un angolo al quale la ragione non ha accesso. Sappiamo per certo che i morti non tornano in vita. Ma per i cristiani la risurrezione è al centro della loro fede. Già Paolo predicava: “E se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede” (1 Corinzi 15, 14). Ma evidentemente può crederci soltanto chi concepisce una violazione delle leggi di natura.

L'apostolo Paolo

Non è plausibile: secondo la testimonianza del Nuovo Testamento era con questo verdetto che dovevano scontrarsi già i primi annunciatori della risurrezione. Dopo che alcune donne ebbero trovato vuoto il sepolcro e due angeli ebbero trasmesso loro il messaggio della risurrezione del Maestro, esse andarono a raccontarlo agli apostoli. Ma “quelle parole sembrarono loro un vaneggiare e non prestarono fede alle donne” (Luca 24, 11), riferisce l’evangelista Luca.

La risurrezione di Lazzaro

Il sommo sacerdote sparse la voce che i discepoli avevano rubato dal sepolcro la salma di Gesù per diffondere la menzogna della risurrezione (Matteo 28, 11-15) - un pensiero che venne ripreso nel 18. secolo dal critico della Bibbia Reimarus, che perciò accusò i discepoli di frode. Secondo l’impetus illuminista la fede dovrebbe rispondere davanti al tribunale della ragione. Lì i miracoli - e tale consideravano la risurrezione gli illuministi - non potevano sussistere. Nel 19. secolo il filosofo e teologo David Friedrich Strauss riteneva la fede pasquale non una frode deliberata, ma la conseguenza di visioni dei discepoli sconvolti. I seguaci di Gesù avrebbero superato così la morte del loro Signore. Si verificò qualcosa soltanto nell’anima dei discepoli in lutto.

Gerd Lüdemann

L’idea rimase popolare - e negli anni Novanta del secolo scorso suscitò nuovi accesi dibattiti quando il teologo di Göttingen Gerd Lüdemann sostenne una variante della tesi intessuta di psicologia del profondo. “Il sepolcro di Gesù non era vuoto, ma pieno”, osservava, “e la salma non era uscita da lì, ma si era decomposta”. Ben presto Lüdemann prese completamente le distanze dalla fede. Quattro anni dopo scrisse, rivolgendosi direttamente a Gesù, della “frode della tua risurrezione”, per cui “sull’aspetto religioso tra noi due il discorso deve considerarsi concluso”.

La sua interpretazione spiega come poté accadere che i discepoli parlarono della risurrezione di Gesù: erano talmente scioccati che furono vittime di allucinazioni. In seguito vendettero le loro visioni come fatti reali. La tesi si inserisce perfettamente in una visione scientifica del mondo. Ma è una tesi cristiana? Che cosa resta della fede pasquale se viene ridotta all’autoinganno di alcuni adoratori di Gesù in preda alla confusione?

Troppo poco per papa Benedetto XVI. Nel secondo volume della sua opera “Gesù di Nazaret” reagisce ancora una volta alle tesi di Lüdemann: il sepolcro era vuoto, Gesù Cristo è risorto nella carne, la risurrezione è un “evento nella storia” - ma che va oltre la storia. Mantenere viva la fede in tutto il suo ingombro è per il papa una grande preoccupazione. Egli teme che avvicinarsi troppo al mondo moderno e al suo pensiero potrebbe annacquarlo. Preferisce rimanere incompreso. Entrambi, Benedetto e Lüdemann, condividono l’assunto: la risurrezione deve essere un evento storico, che può essere compreso con gli strumenti della ricerca storica. Se non è possibile dimostrare ciò che accadde alle spoglie di Gesù non possiamo interpretare la risurrezione di Gesù in senso letterale, afferma Lüdemann. Per il papa la testimonianza della Bibbia è sufficiente. Ma i racconti sono attendibili?

Che cosa resta della fede pasquale se viene ridotta all’autoinganno di alcuni adoratori di Gesù in preda alla confusione?

I Vangeli sinottici Marco, Matteo e Luca si contraddicono a vicenda. Sono discordi su chi giunse per primo al sepolcro, su dove fosse la pietra o su chi si fosse trattenuto lì. I racconti sono intessuti di leggenda, ma in parte concordano: le prime persone che giunsero al sepolcro furono donne. Vi si recarono la mattina del primo giorno della settimana e informarono i discepoli. La tesi del sepolcro vuoto rimane tuttavia traballante. Nelle sue lettere Paolo non fa menzione del sepolcro - e sono più antiche dei vangeli. La fede pasquale fu annunciata prima che si cominciasse a parlare del sepolcro vuoto. A Paolo bastava riferire delle apparizioni di Gesù. Si trattava forse di invenzioni successive volte a dare maggior peso alla fede?

La ricerca storica non è in grado di stabilire se il sepolcro fosse vuoto. Sappiamo che Gesù morì sulla croce. E sappiamo anche che i discepoli annunciarono la sua risurrezione. Che cosa successe in mezzo non è noto. La risurrezione stessa non è descritta nella Bibbia. Non vi è alcuna speranza di dimostrare la risurrezione in modo plausibile. A meno che non si valutino diversamente i racconti delle apparizioni di Gesù. Il teologo protestante tedesco Wolfhart Pannenberg non intende rinunciare al metodo storico, ma non vuole nemmeno piegarsi al “dogma di una comprensione secolaristica della realtà che in linea di principio esclude l’azione divina”. I discepoli hanno raccontato della risurrezione di Gesù e questo per Pannenberg è un indizio sufficientemente forte del fatto che essa ha davvero avuto luogo. Ma che cosa significa allora affermare che Gesù “risuscitò da morte”, come i cristiani dichiarano nel Credo?

Rudolf Bultmann

Per Rudolf Bultmann (1884-1976) dietro i racconti delle apparizioni di Gesù si cela una visione mitologica del mondo che si è frattanto sgretolata. Non è interessato a sapere che cosa accadde realmente allora. Ciò che conta è invece il messaggio - un messaggio che induce ancora oggi le persone a cambiare vita e a intendere la propria vita in modo radicalmente nuovo. Gesù Cristo “è risorto nel kerigma”, nell’annuncio, in cui egli resta vivo e chiama le persone a prendere una decisione - un altro concetto di risurrezione.

Bultmann si sottrae così al problema di dimostrare storicamente la risurrezione. Soltanto coloro che la qualificano come evento storico devono anche rispondere a come essa sia concepibile all’interno del nostro mondo. Che Dio riporti in vita un cadavere è un’idea spettrale - che comunque non è mai stata rappresentata, nemmeno nel Nuovo Testamento. Lì si legge di Gesù che entra in una stanza nonostante le porte chiuse (Giovanni 20, 26). È vero che porta le piaghe del crocifisso (Giovanni 20, 24-28), ma il suo corpo è diverso, trasformato. Non ritorna alla vita terrena, bensì è accolto da Dio in una vita nuova e immortale. Anche un pensiero del genere è arduo da accettare al giorno d’oggi.

Se tuttavia non viene raffigurato alcun accadimento storico, la cosa assume un altro aspetto. Chi approccia un fenomeno con il metodo di uno storico ottiene una risposta storica. Lo stesso accade allo studioso di scienze naturali. Se tenta di inserire la risurrezione di Gesù in una visione moderna del mondo la sua risposta rientra nell’ordine delle scienze naturali. Ma se il problema non fosse affatto di competenza di queste scienze? Se volessimo sapere perché un romanzo è avvincente non incaricheremmo nessuno di analizzare la quantità di inchiostro utilizzata e la sua disposizione sulle pagine del libro. Chi è interessato alla bellezza di un’immagine non domanda se per realizzarla siano state violate le leggi di natura. Perché, allora, domandare a storici e naturalisti se vogliamo sapere qualcosa della risurrezione? Sono forse i soli a darci informazioni per comprendere noi stessi e il nostro mondo?

Chi la pensa in questo modo ha preso una decisione preliminare: se vogliamo farci bastare il pensiero scientifico e sostenere le nostre convinzioni nel mondo di oggi in modo ragionevole dobbiamo escludere Dio. Possiamo prendere questa decisione preliminare - e in tal modo porci limiti nell’individuare le tracce della fede cristiana nella risurrezione. Per il cristiano la questione inizia ad avere un interesse soltanto quando riconosce che si sta parlando di Dio. (da NZZ; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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