A Ginevra laicità senza velo

In futuro a Ginevra i dipendenti statali non potranno più indossare simboli religiosi. La disposizione suscita molte critiche

17 marzo 2019

(Paolo Tognina) In futuro a Ginevra i dipendenti statali non potranno più indossare simboli religiosi. È entrata in vigore l'8 marzo, nel cantone di Ginevra, una legge approvata nel 2018 ma sottoposta a referendum tenutosi domenica 10 febbraio e che l'ha definitivamente confermata.
La legge norma diversi aspetti della dimensione pubblica della religione, ma da tempo il dibattito è stato monopolizzato dall'interdizione - che i cittadini hanno accettato - a esporre simboli e indumenti religiosi in luogo pubblico da parte di dipendenti ed eletti. Era uno dei passaggi più controversi della legge perché chiama in causa la questione del chador, il velo islamico che lascia scoperto solo l'ovale del volto femminile, ma anche il niqab (che lascia scoperti solo gli occhi) e il burqa (che nasconde tutto il corpo).

Divieto del velo
Scettici e preoccupati dell'esito della consultazione i musulmani, soddisfatte le tre chiese cristiane principali del Paese, ossia la Chiesa cattolica romana, la Chiesa protestante di Ginevra e la Chiesa cattolica cristiana, le quali hanno definito l’esito del referendum un passo avanti per la pace religiosa, alludendo alle evoluzioni riguardanti l’insegnamento del fatto religioso, la cappellania, la lotta contro le derive settarie, la chiarificazione dei rapporti fra comunità religiose e Stato e la neutralità di quest’ultimo. In un comunicato congiunto, hanno dichiarato che "la legge sulla laicità dello Stato chiarisce i termini della neutralità dello Stato e stabilisce delle regole comuni per l’insieme delle comunità religiose stabilite nel cantone".

Nel 2017 il Parlamento svizzero si era opposto a un testo che imponeva il divieto del velo in tutto il Paese. Il governo aveva rimandato la questione alle singole entità regionali. Tra esse, si sono già espressi il Canton Ticino, quello di San Gallo e - appunto - quello di Ginevra.

No ai simboli religiosi
Per i dipendenti statali e i rappresentanti politici eletti vigerà dunque il divieto di indossare, per esempio, il velo, la croce cristiana o la kippah ebraica nell’esercizio delle loro funzioni. Contro la legge si sono espressi partiti di sinistra, sindacati, associazioni femministe e musulmane. Ad essere criticato è soprattutto il carattere discriminatorio della legge. Parecchi i ricorsi pendenti che mettono tra l’altro in dubbio la compatibilità della norma con la Convenzione europea dei diritti umani.

Dimensione pubblica della fede
Anche a Berna la chiesa riformata è critica nei confronti del modello ginevrino. Secondo Pia Grossholz, consigliera sinodale della Chiesa riformata di Berna-Giura-Soletta (Refbejuso), la Chiesa cantonale non approverebbe una disposizione come quella di Ginevra. Sarebbe ingiusto nei confronti delle religioni e della pratica della fede se le si riconducesse a un livello meramente individuale e se la libertà personale venisse limitata, afferma Grossholz. “La fede viene comunque sempre vissuta nella comunità e si espande in una certa misura nella sfera pubblica. Ed è giusto che sia così”. E nel caso dei politici eletti Pia Grossholz reputa che il divieto sia “assolutamente superfluo”.

Libertà religiosa
Tanto la Chiesa riformata di Zurigo quanto la Chiesa cattolica romana del cantone Berna si sono espresse in modo molto simile sulla nuova disposizione ginevrina. Secondo Simon Spengler, della Chiesa cattolica romana di Zurigo, la legge aggiorna quella laicità dello Stato che a Ginevra è storicamente molto radicata. La disposizione sui simboli religiosi è problematica: “Limita la libertà religiosa”. Finora a Zurigo ci sono stati progetti analoghi solo a livello locale, ma le chiese ne hanno preso le distanze. “Dal punto di vista zurighese si pone innanzitutto la questione se con questa situazione giuridica inasprita venga risolto un reale problema sociale - o se non si creeranno invece nuovi problemi”, afferma Spengler.

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