L’Africa converte i cinesi

L’espansionismo di Xi Jinping in Africa ha effetti collaterali: molti lavoratori cinesi scoprono il cristianesimo. La repressione religiosa in Cina non impedisce loro di convertirsi

22 febbraio 2019

(Gaëlle Courtens) Partono atei e tornano credenti. È il caso di molti lavoratori cinesi che per alcuni anni vivono e lavorano con le loro famiglie in Africa. Provenienti da un regime repressivo sul fronte della libertà religiosa, scoprono in terra africana la fede cristiana, soprattutto nella sua tradizione evangelical e pentecostale, ma non mancano i Testimoni di Geova. All’espansionismo commerciale di Xi Jinping sta seguendo - in sordina - una vera e propria "esportazione” di missionari provenienti da Hong Kong, Taiwan, nonché dalle chiese “sotterranee” sempre più represse in Cina. La loro missione: accompagnare spiritualmente i cinesi convertitisi al cristianesimo in terra straniera, sulla “nuova via della seta”.

Lavoratori cinesi in Africa
Negli ultimi 9 anni - dati del 2018 - la Cina è divenuta il più grande partner commerciale dell’Africa, con un volume di affari che nel 2017 è cresciuto del 14%, arrivando a 170 miliardi di dollari USA. In Africa operano ben 10mila compagnie di proprietà cinese con centinaia di migliaia “expat” (alcune stime parlano di più di un milione) mandati a lavorare nel continente in seguito agli accordi economici intercorsi tra numerosi Stati africani subsahariani e il governo di Xi Jinping.

Nonostante vivano in “ghetti” separati, molti operai cinesi stanno avvicinandosi ad altre culture, religioni comprese. In Africa, per la prima volta, vivono in società aperte alla spiritualità. Ironia della sorte: mentre in Cina la politica di repressione religiosa di questi anni ha costretto numerose chiese a chiudere, in Africa sono soprattutto imprese edili cinesi a costruire i luoghi di culto.

Culti africani in mandarino
Gli “expat” cinesi accolgono volentieri il senso di appartenenza comunitario offerto dalle chiese locali. Secondo alcuni osservatori, le conversioni al cristianesimo non sarebbero sempre prive di interesse. Imprenditori cinesi si troverebbero a lavorare meglio con gli africani grazie al fatto che condividono la stessa fede. Chi si è convertito al cristianesimo è considerato dai business partner africani come più affidabile. La religione come denominatore comune funge da ponte e aiuta a combattere i reciproci pregiudizi.

D’altro canto, molte chiese evangelicali africane, consapevoli delle difficoltà relative alla libertà di esercitare una fede religiosa in Cina, vedono negli “expat” cinesi un importante “potenziale di conversione”, offrendo addirittura culti in mandarino.
Tuttavia, siamo ancora di fronte ad un fenomeno minoritario, come documenta il sito asiabyafrica.com: nel solo Sudafrica, dove vivono tra 350'000 e 500'000 cinesi, le chiese cinesi censite non sarebbero più di una quindicina con comunità intorno ai trenta membri.

Bibbie cinesi in Africa
Un quarto di tutte le Bibbie del mondo viene stampato in Cina. Paradossalmente il maggior esportatore di Bibbie in tutte le lingue è proprio il regime comunista e ateo di Xi Jinping. A stamparle la “Amity Printing Company” di Nanjing (nella provincia dello Jiangsu), la più grande del mondo nel campo dell’editoria biblica. E, tornando in Africa, non è dunque un caso, se - ad esempio - il 75% delle Bibbie in mandarino che circolano in Kenya sono stampate proprio in Cina.

Cristiani in Cina (Segni dei Tempi RSI La1)

Bibbie che a volte, insieme ai loro proprietari, tornano in Cina ripercorrendo a ritroso la nuova via della seta. Un “danno collaterale”, quello dell’importazione di “nuovi cristiani” verso la Cina, che le politiche espansionistiche di Xi Jinping forse non avevano messo in conto.

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