Giro di vite nello Zimbabwe

Uccisioni, feriti, arresti, intimidazioni, blackout di internet: violentemente represse le proteste scoppiate per il carobenzina

22 gennaio 2019

(Gaëlle Courtens) Dallo Zimbabwe giungono scene da guerra civile. Ci sarebbero 12 morti, tra cui bambini, 200 feriti e circa 600 arresti. È pesante il bilancio delle proteste scoppiate nel paese africano per la decisione del presidente Emmerson Mnangagwa di triplicare il costo del carburante. Inoltre, il governo ha bloccato i collegamenti ad internet, limitato l’accesso ai social network e ad applicazioni di messaggistica come WhatsApp. Arrestato il pastore leader dell’opposizione Evan Mawarire. Le chiese chiedono il rispetto dello stato di diritto e il ripristino del dialogo tra le parti.

Arrestato il pastore Mawarire
Tra le persone arrestate figura anche il pastore e attivista per i diritti civili Evan Mawarire, fondatore del movimento popolare #ThisFlag e conosciuto per aver organizzato negli anni scorsi manifestazioni contro l’ex dittatore Robert Mugabe.

Evan Mawarire

Mawarire è stato arrestato ad Harare, la capitale del paese, accusato di aver “incitato alla violenza attraverso Twitter e altre forme di social media”. Rischia 20 anni di carcere per “sovversione”. Il pastore, arrestato a più riprese anche sotto il regime di Mugabe, è fautore della resistenza non violenta come la intendeva il pastore battista statunitense e paladino dei diritti civili Martin Luther King. Nel suo ultimo tweet, prima che le autorità gli bloccassero il profilo Twitter, Mawarire ha ribadito l’importanza della lotta non violenta, incoraggiando la popolazione a manifestare pacificamente.

Brutalità della repressione
“Siamo di fronte ad una massiccia operazione di repressione”, ha detto Doug Coltart, senatore del principale partito di opposizione, il Movimento per il cambiamento democratico (MDC), nonché difensore dei diritti umani. In questi giorni Coltart sta assistendo una trentina di persone arrestate ad Harare, tra cui anche minori. “La maggior parte delle persone è stata presa da uomini con il volto coperto e armati di fucili AK47, che le hanno trascinate fuori e picchiate. Sono detenuti senza accuse né possibilità di difesa legale, senza cibo né acqua. La brutalità di ciò che sta accadendo è scioccante”, ha dichiarato al quotidiano britannico “The Guardian”.

Zimbabwe oltre la dittatura (Segni dei Tempi RSI La1)

Le chiese per il rispetto dei diritti
In una presa di posizione resa pubblica il 21 gennaio il Consiglio delle chiese cristiane dello Zimbabwe ha condannato il ricorso a qualsiasi forma di violenza, chiedendo l’immediato ripristino dei diritti e delle libertà civili. Al governo ha chiesto il rispetto della costituzione e dello stato di diritto, nonché la rivisitazione della sua linea di politica economica. Puntando il dito contro le politiche di austerity e neoliberali messe in campo dall’esecutivo, le chiese cristiane hanno altresì chiesto un’efficace lotta alla corruzione e dei meccanismi di trasparenza nel settore soprattutto delle industrie di materie prime. La strada da percorrere indicata dalle chiese è quella del dialogo tra il governo e la popolazione, teso a trovare soluzioni concertate che guardino ad una visione condivisa del bene del paese.

Crisi economica
Il paese è da tempo nella morsa dell’iperinflazione che ha raggiunto il 37%. L’aumento delle accise sul carburante, annunciate lo scorso 12 gennaio, doveva far fronte soprattutto alla cronica carenza di banconote. Le proteste sono iniziate lunedì 14 gennaio, quando il principale sindacato del paese ha indetto uno sciopero di tre giorni, che è stato accompagnato da numerose proteste in tutto il paese. La violenta repressione si è svolta mentre il presidente Mnangagwa era in visita ufficiale in Russia e Kazakhistan. Doveva proseguire il suo viaggio verso il summit del World Economic Forum di Davos, ma è rientrato precipitosamente ad Harare.

Emmerson Mnangagwa

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