La sfida del pluralismo religioso

In Svizzera, il riconoscimento giuridico delle comunità religiose continua a rappresentare un problema, soprattutto per i musulmani e gli ortodossi

26 settembre 2018

(ve) Con l’approvazione domenica scorsa da parte dei cittadini sangallesi della legge “anti-burqa” è tornata alla ribalta la questione di come salvaguardare i diritti fondamentali in un quadro di pluralismo religioso. Il testo adottato dal legislativo cantonale - che si ispira all'articolo costituzionale già in vigore in Ticino - prevede che chiunque si copra il volto in pubblico sia punibile se "minaccia o mette in pericolo la sicurezza pubblica o la pace sociale o religiosa".

Soluzioni pragmatiche
Già qualche mese fa il canton San Gallo aveva rinunciato alla possibilità di introdurre giuridicamente il riconoscimento pubblico di comunità religiose che non fossero quelle già storicamente presenti: riformati, cattolici, cattolici cristiani ed ebrei. Il governo di Berna ha deciso nel 2015 di non perseguire più questa strada. Situazione analoga nel canton Zurigo, dove le linee guida politico-religiose elaborate dal Consiglio di Stato non contemplano più la visione di un islam riconosciuto dallo Stato. Si mira invece a soluzioni pragmatiche come accordi per consentire l’assistenza spirituale musulmana negli ospedali e nelle carceri.

Islam in Svizzera quale integrazione (Segni dei Tempi RSI La1)

Eterogeneità etnica
Il riconoscimento di diritto pubblico è stato a lungo considerato, soprattutto dalla sinistra e dalle chiese, la via maestra dell’integrazione. Oggi, il quadro sembra cambiato.
La Chiesa riformata di Zurigo (ZHRef), che un tempo propugnava il riconoscimento, ne ha preso le distanze. Michael Müller, presidente della ZHRef, approva l’approccio pragmatico del governo. Secondo lui si tratta di una via d’uscita da un’impasse, soprattutto alla luce della marcata eterogeneità etnica delle comunità islamiche.
“In Svizzera percepiamo l’islam come un’unità che però non esiste”, commenta Antonio Loprieno, membro della chiesa evangelica di lingua italiana di Basilea, a capo del Gruppo di lavoro federale sulla formazione degli imam. Poiché le associazioni hanno una connotazione più etnica - bosniaca, albanese, turca - che religiosa, il riconoscimento provocherebbe un caos di questioni giuridiche. Loprieno, già rettore dell’università di Basilea, ritiene che l’approccio pragmatico sia invece in grado di conquistare la maggioranza.

Analogie tra musulmani e ortodossi
Anche le comunità ortodosse sono connotate etnicamente - russi, serbi, romeni o greci - fa notare l’arciprete serbo-ortodosso Drasko Todorovic. Alla stessa stregua delle comunità islamiche, dipendono dalle organizzazioni madri e perciò dai finanziamenti esteri. Molti sacerdoti si sono formati nei paesi di origine. Da un punto di vista politico, Todorovic pertanto suggerisce di riconoscere prima le chiese ortodosse con i loro circa 150.000 membri in Svizzera. Perché nel nostro paese le chiese orientali non sono nel mirino delle critiche da parte dell’opinione pubblica, sebbene abbiano carenze analoghe a quelle dei musulmani. Tra queste figurano per esempio le strutture e procedure interne non propriamente democratiche.
Non è un caso se il Consiglio svizzero delle religioni, in cui siedono i rappresentanti di tutte le grandi religioni monoteiste, non si sia ancora espresso in merito.

Oggi si mira a soluzioni pragmatiche come accordi per consentire l’assistenza spirituale musulmana negli ospedali e nelle carceri

Il volto conciliante dell'islam (Segni dei Tempi RSI La1)

Visione fallita?
Nonostante gli sforzi per ottenere il riconoscimento di diritto pubblico, le comunità musulmane e ortodosse in Svizzera non dispongono praticamente dei requisiti per ottenerlo. Questo il parere del giornalista del Tages-Anzeiger Michael Meier, esperto della materia, che non ha dubbi: “la visionaria politica religiosa annunciata vent’anni fa è fallita”. (Gaëlle Courtens)

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