Pastori e preti armati di pistola

Il cappellano militare è inquadrato nell'esercito col grado di capitano, porta un'arma ed è un ufficiale integrato nello stato maggiore

23 settembre 2018

Pastore della parrocchia riformata di Ecublens Saint-Sulpice (VD), Vincent Guyaz dedica ogni anno diverse settimane al servizio nell’esercito svizzero in qualità di cappellano.

Vincent Guyaz, qual è stato il suo percorso per diventare cappellano militare?
Ho fatto la scuola reclute e seguito la formazione di sottufficiale. Dopo la mia ordinazione pastorale ho completato le tre settimane di formazione per diventare capitano cappellano. Durante quel periodo ho seguito un corso di introduzione al compito pastorale in questo contesto.
Ci sono poi due orientamenti: diventare cappellano delle giovani reclute oppure dei soldati che ogni anno svolgono i corsi di ripetizione. Ho preferito la seconda opzione in modo da ritrovare ogni anno la stessa squadra.

Come vede il suo ruolo di ufficiale e di pastore durante i corsi di ripetizione?
Ho una doppia funzione. Da un lato, sono un ufficiale che fa parte dello stato maggiore, del gruppo direttivo, insieme al medico, al capo autista, al responsabile della comunicazione. Dopo 2-3 corsi ci si avvicina, si comincia a dare del tu al colonnello, posso sollevare delle domande e influire su alcune decisioni della direzione. Dall'altro lato, sono il pastore dei soldati, lavoro e faccio esercizi con loro e organizzo degli incontri. A volte si tratta di un momento di teoria su una questione spirituale, altre volte una celebrazione in occasione di una festa. E durante i corsi di ripetizione ricevo anche richieste di colloquio.

Le attività proposte dal cappellano sono obbligatorie per i soldati non cristiani o non credenti?
Siamo a disposizione di tutti, indipendentemente dalla confessione religiosa. Quando c’è un incontro con il cappellano nell’aula di teoria su questioni di spiritualità o di etica, tutti devono essere presenti. Nel caso di una cerimonia è diverso: può trattarsi di una celebrazione ecumenica alla quale si iscrive chi vuole partecipare oppure il comandante decide che durante una marcia o alla fine di una marcia si terrà una celebrazione e in questo caso tutti devono partecipare.
Sono a disposizione delle persone, senza condizioni, ma allo stesso tempo sono anche un testimone del Vangelo.

Come viene percepita la sua presenza dagli altri ufficiali dell’esercito?
Nello stato maggiore sono accolto senza riserve, gli altri ufficiali sono contenti della mia presenza, anche perché sono consapevoli che ho certe competenze che loro non hanno. Nell'esercito esiste anche un servizio psicopedagogico, ma si tratta di una cellula di professionisti, mentre noi siamo sul campo e lavoriamo a diretto contatto con i soldati. È la ragione per cui i capi preferiscono chiamare il cappellano. Ogni mattina ho cinque minuti a disposizione per un breve messaggio. È uno spazio prezioso, che va usato in modo efficace, altrimenti se lo prenderanno altri.

E le altre fedi e religioni?
Attualmente possono diventare cappellani soltanto ministri della chiesa cattolica romana ed evangelica riformata. Contrariamente ad altri eserciti non abbiamo cappellani musulmani e credo che sarà così ancora per molto tempo. A questo riguardo gli ufficiali superiori sono probabilmente ancora più reticenti dei cappellani.

In quanto cappellano lei porta un’arma e viene addestrato a usarla. Come concilia i compiti dell’esercito con gli insegnamenti della Bibbia?
L’esercito svizzero prevede che si possa prestare servizio militare senz’arma. Ma è anche vero che, di fatto, in quanto capitano ho una pistola. Non ho mai avuto problemi di coscienza, perché condivido pienamente la missione dell’esercito svizzero, che è quella di difendere la popolazione e il territorio, e di sostenere la popolazione in caso di catastrofi. La pistola che porto è un’arma di difesa, ma non ho idea di come andrà se un giorno dovessi servirmene contro qualcuno. Ad ogni modo è così, mi sento a mio agio al riguardo.

Quali sono i valori del Vangelo che ritrova nell’esercito svizzero?
La pluralità. Non è un esercito costituito da fascisti o da soggetti che non hanno trovato un altro lavoro. Nell’esercito di milizia sono rappresentate tutte le fasce della popolazione: avvocati, insegnanti, ingegneri, portinai, falegnami. Ognuno ha le stesse opportunità di fare carriera nell’esercito, a seconda degli sforzi che sarà disposto a compiere. C’è inoltre il servizio dell’altro. Si dà il proprio tempo e si rinuncia al proprio comfort per servire e proteggere l’altro. Un altro collegamento con il Vangelo è l’intensa vita comunitaria. Anche come ufficiali si dorme a volte in otto in una stanza. È la vita comunitaria nella sua espressione più bella e più drammatica, con la solidarietà e l’amicizia che ne conseguono.

In conclusione, che cosa le ha insegnato l’esercito?
L’esercito mi ha insegnato la disciplina di dover comunicare il Vangelo in modo chiaro, conciso e accessibile a tutti. Inoltre è interessante il modo in cui vengono prese le decisioni nello stato maggiore. È un processo che attribuisce molta importanza agli specialisti, ognuno dei quali si presenta con due opzioni argomentate e il comandante sceglie su questa base. C’è un enorme rispetto per le competenze delle persone. Penso che in questo campo, nella chiesa abbiamo un grande margine di miglioramento. (da Réformés; intervista a cura di Ludovic Papaux; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Sintesi storica
La funzione di cappellano militare fa la sua comparsa nel 1875, quando viene costituito il moderno esercito svizzero. Nel 1882 il Consiglio federale ratifica l’impegno di 60 cappellani militari protestanti e cattolici. L’Istruzione per il servizio dei cappellani militari del 1897 descrive chiaramente i compiti loro assegnati, validi ancora oggi: “Le loro funzioni consistono nel celebrare il servizio divino, nel fornire assistenza spirituale ai malati e ai feriti, agli afflitti e ai moribondi e nel soddisfare tutti gli altri bisogni religiosi degli uomini. Inoltre si sforzeranno con la parola e con l’esempio [...] di far regnare uno spirito positivo fra i soldati. A seconda delle circostanze, li esorteranno a compiere con gioia il proprio dovere, ad applicare la propria mente a cose serie, a osservare rigorosamente la disciplina; risolleveranno loro il morale nelle fatiche e nei pericoli; impediranno con tutte le loro forze le violenze e gli eccessi; interverranno nelle dispute e faranno appello ai sentimenti di umanità tra amici e nemici”.

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