Il Sessantotto e le facoltà di teologia

Nel maggio 1968 il malcontento studentesco, chiassoso e rivoluzionario, raggiunse il microcosmo protestante francese e le sue strutture di istruzione superiore

22 agosto 2018

(Claire Bernole) “Contestavamo l’insegnamento che ci veniva impartito, e ne denunciavamo i limiti”, dice Jean-François Zorn, all’epoca studente e presidente dell’associazione studentesca UNEF. Gli studenti della facoltà di teologia di Montpellier incrociarono le braccia già nel mese di marzo. La loro rivolta sorprese i professori e turbò la quiete di quell'austera istituzione. I giovani chiedevano di porre fine alle lezioni cattedratiche, di far uscire la teologia dal suo isolamento per farla esistere nello spazio universitario pubblico, di avvicinare questa disciplina alle scienze umane, di mettere in discussione usi e tradizioni.

La Chiesa e il mondo
“Siamo stati accusati di voler fare entrare il mondo nella chiesa, ed era esattamente così. Volevamo una teologia del mondo. Oggi si parla di teologia contestuale”, insiste Jean-François Zorn. In particolare, i giovani non erano soddisfatti di un sistema formativo che li preparava a un solo tipo di ministero: il classico ministero pastorale in parrocchia. Jean-Pierre Rive, all’epoca cappellano degli studenti ed eletto nel consiglio di amministrazione della facoltà di teologia di Montpellier per rappresentarli, rincara la dose: “Eravamo i becchini dell’istituzione, volevamo essere gli attori di una scomparsa della chiesa così com’era organizzata, a beneficio di comunità di base impegnate socialmente e politicamente”.

Mitragliatrici per la rivoluzione
Gli studenti erano politicizzati o almeno consapevoli della portata politica della protesta. Il pastore Jacques Walter ricorda che al Foyer protestant de la Duchère, a Lione, un insegnante era presidente della Maison des jeunes et de la culture, dove ogni sera si tenevano assemblee che riunivano oltre cento persone. Anche in seno alla Federazione degli studenti protestanti i dibattiti erano animati. A Grenoble l’alacrità rivoluzionaria raggiunse il culmine quando alcuni studenti proposero di sostenere movimenti di guerriglia in America latina con l’invio di mitragliatrici. “Un’iniziativa accolta piuttosto male dai pastori”, commenta oggi Mathilde Dubesset, docente  di storia contemporanea in pensione.

Le chiese e il Sessantotto (Segni dei Tempi RSI La1)

L’arrivo dei lavoratori
A livello nazionale al movimento studentesco si unirono ben presto i lavoratori. In segno di solidarietà con quest’ultimi gli studenti della facoltà di teologia di Montpellier decisero di cedere loro il proprio pranzo. “Questa dimensione sociale mi toccò molto perché abbatteva i confini tra le classi”, ricorda Danièle Rigollet, all’epoca una delle rare donne iscritte a teologia. “Poi smisi di farlo, perché gli operai si prendevano gioco di noi e mi accorsi che avevano i mezzi per comprarsi le sigarette e un litro di vino mentre noi ci privavamo del cibo”. Rigollet partecipò a due o tre manifestazioni, poi iniziò a sentirsi a disagio. “Ripetevamo quello che qualcuno urlava in un megafono, le parole erano violente. Non capivo dove stessimo andando e non ritornai più”.

Novità ecumeniche
A Pentecoste del 1968, una sessantina tra preti, pastori e laici decisero di fare la comunione insieme. Un'iniziativa che il filosofo protestante Paul Ricœur difese in un testo intitolato Le risque de l’intercommunion. “Fu qualcosa di grandioso!” testimonia Ambroise Monod, all’epoca pastore a Strasburgo e cappellano universitario. “Abbiamo dato una scossa alle cose", prosegue, "ma purtroppo le idee innovative passano attraverso istituzioni che comportano una gerarchia. E questo costituisce un forte freno”.

Paul Ricoeur

L'eredità del Sessantotto
Che cosa rimane di quel periodo di sconvolgimenti? In ambito protestante quelle agitazioni portarono alla creazione dell’Institut protestant de théologie, sostenuto da Jacques Ellul, con il pensiero e l’esperienza come parola d’ordine. Vennero inoltre creati, in diverse città, centri di incontro intorno ai quali si organizza una vita parrocchiale, ma anche una vita culturale. “L’istituzione ha capito che le parrocchie non potevano più essere il luogo esclusivo dell’annuncio della Parola e della vita comunitaria cristiana”, è l’analisi di Jean-Pierre Rive. E infine il '68 ha aperto le porte a una nuova comprensione e a una valutazione positiva del pastorato femminile, fino a quel momento guardato con sufficienza - quando non osteggiato - da gran parte del protestantesimo francese. (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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