Politici evangelici in Sudamerica

In una cultura caratterizzata dalla corruzione dilagante, la presenza di candidati evangelici incuriosisce e solleva molte questioni

23 agosto 2018

(Sandrine Roulet) Negli ultimi anni sono stati numerosi i candidati evangelici nelle presidenziali in America latina. All’inizio di aprile Fabricio Alvarado ha perso contro il suo concorrente in Costa Rica. Al primo turno, però, questo pastore era arrivato primo improntando la sua campagna elettorale alla difesa della famiglia tradizionale.
In Brasile va ricordata Marina Silva, terza alle presidenziali del 2010 e del 2014. La candidata ecologista è di nuovo in corsa per le elezioni di ottobre 2018. Anche un altro brasiliano “papabile”, l’ultraconservatore Jair Bolsonaro, si dichiara evangelico. In Colombia, Viviane Morales è riuscita a ottenere il sostegno unanime degli evangelici prima di ritirarsi a beneficio di Ivan Duque, eletto presidente il 17 giugno con l’appoggio degli evangelici. All’inizio degli anni Novanta, Claudia Rodriguez de Catellanos si era già presentata come candidata alla presidenza della Colombia. Dopo la sconfitta, è stata la prima evangelica membro del Congresso del suo paese.


Tra riluttanza e impegno
Come interpretare l’interesse degli evangelici sudamericani per la politica ai più alti livelli? L’elevato numero di credenti in questi paesi basta a spiegare questo fenomeno? L’antropologa Marion Aubrée sostiene che in passato i pentecostali sudamericani assimilavano la politica a un peccato a causa della corruzione che la circonda. Il cambiamento, prosegue la studiosa, è avvenuto con l’Igreja Universal do Reino de Deus (Chiesa universale del regno di Dio), fondata da Edir Macedo che conta 5'000 luoghi di culto in Brasile. “Questa Chiesa ha affermato la necessità di impegnarsi in politica per far passare le proprie idee”. Il pastore Macedo, multimilionario, ha già acquistato il secondo canale televisivo del Brasile. E nel 2005 la sua Chiesa è stata all’origine della creazione del partito repubblicano brasiliano.

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Un atteggiamento combattivo
L’influenza della Igreja Universal do Reino de Deus non spiega tutto, sostiene Léo Garcia, brasiliano, pastore di una chiesa evangelica libera in Svizzera. “I deputati delle megachiese pentecostali e neopentecostali - che costituiscono dopotutto solo il 16% dei membri del Congresso brasiliano - sembrano più influenti perché molto assertivi. Dimostrano inoltre un atteggiamento molto combattivo e stringono alleanze con esponenti di altri partiti conservatori e ciò li ha resi più forti nel corso degli anni”.

Il peso della religione
Missionario in Guatemala, il pastore Steve Golla pone l’accento su un altro elemento per spiegare il successo degli evangelici sudamericani in politica: “Nelle culture dell’America centrale e meridionale il 95% delle persone sono state cresciute nella fede cattolica. Di conseguenza la religione svolge un ruolo importante nella decisione delle persone di scegliere dirigenti cristiani”.
Altra differenza con l’Europa, il rapporto con il laicismo. Léo Garcia spiega che sebbene il Brasile sia laico sulla carta, non lo è nella pratica: “Le Chiese invitano spesso i candidati per far loro pubblicità politica”. Steve Golla conferma che in Guatemala i pastori dal pulpito parlano di tutto ciò che vogliono, pur precisando che “quelli delle chiese storiche tendono a non esprimersi pubblicamente per un candidato in modo da non provocare conflitti nelle loro comunità”.

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Candidati con i quali identificarsi
Sono molti i pastori che si lanciano in politica, come Jorge Antonio Trujillo in Colombia, anche presentatore di un programma missionario (arrivato sesto al primo turno a maggio), Harold Caballeros, pastore della Chiesa El Shaddai, due volte candidato alle presidenziali in Guatemala, o ancora il sindaco di Rio de Janeiro, Marcelo Crivella.
I fedeli vedono nei loro pastori persone con le quali possono identificarsi, osserva Léo Garcia: “Dietro il pulpito si trovano neri, afrobrasiliani, persone di varia estrazione, cosa rara tra i sacerdoti cattolici. Tra i pentecostali c’è un’identificazione per classe e spesso anche per etnia”. Di conseguenza gli evangelici votano per un candidato non soltanto depositario dei loro valori cristiani, ma anche proveniente dallo stesso ambiente sociale o con le loro stesse origini.

La corruzione è ovunque
Tuttavia il fatto di essere evangelici non preserva dai sospetti di corruzione. “I politici hanno una cattiva reputazione”, dice Steve Golla. Per il pastore Garcia “anche l’immagine degli evangelici si è deteriorata a causa delle megachiese della prosperità, che abusano dei loro fedeli e i cui pastori sono spesso coinvolti in casi di corruzione”. E aggiunge che gli evangelici sono anche noti per la loro politica molto conservatrice e i loro discorsi contro l’omosessualità.
Léo Garcia è severo nel giudizio relativo alla mancanza di esperienza dei candidati pentecostali: “Ottengono voti dal pulpito, ma non conoscono bene la politica né l’economia. Perciò, quando il confronto tocca il livello del dibattito, non sono più all’altezza”.

Nessun paese sudamericano è ancora pronto a eleggere un presidente evangelico

E Steve Golla aggiunge che nessun paese sudamericano - non dimentichiamo che si tratta di nazioni dalla lunga tradizione cattolica - è pronto a eleggere un presidente evangelico. Resta comunque il fatto che i candidati evangelici riescono ad attirare voti al di fuori dei circoli evangelici. Il motivo? Una grande parte della popolazione continua a sostenere i valori tradizionali e vota per il candidato che rappresenta il “male minore” o per ostacolare un concorrente. Come quando i carioca hanno votato per Marcelo Crivella pur di evitare che un socialista fosse eletto sindaco di Rio. (da Christianisme Aujourd'hui; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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