Israele è uno Stato ebraico

Il Parlamento israeliano ha approvato una legge che privilegia i suoi cittadini ebrei. Ma non mancano le critiche e i ripensamenti

26 luglio 2018

(Aline Jaccottet) Con 62 voti a favore, 55 contrari e 2 astensioni la Knesset ha deciso, la scorsa settimana, che Israele è prima di tutto uno Stato ebraico. I parlamentari hanno così adottato come quindicesima legge fondamentale un testo che afferma che “Israele è lo Stato nazione del popolo ebraico nel quale esso realizza il suo diritto naturale, culturale, storico e religioso all’autodeterminazione”. Nessuna menzione di ciò a cui avrebbero diritto altre comunità.

L'arabo lingua speciale
Il documento - la Legge fondamentale intitolata “Israele, Stato nazionale del popolo ebraico” - elenca i simboli dello Stato, ossia l’inno, la bandiera, il candelabro a sette braccia, ma anche il calendario ebraico e le feste ebraiche. Il testo allontana ancora di più l’idea di una condivisione di Gerusalemme con i palestinesi, affermando che la città è la capitale di Israele, “intera e unita”. Incoraggia la costruzione e lo sviluppo di colonie in Cisgiordania affermando che si tratta di un “valore nazionale”. Afferma inoltre che Israele si impegnerà nelle relazioni con il mondo ebraico all’estero, senza una parola sul modo in cui lo Stato dovrebbe preservare l’eredità degli ebrei in Israele. Infine annuncia che la lingua nazionale è l’ebraico. Fuori l’arabo, che in precedenza aveva questo status e che si trasforma ora in “lingua speciale”.

Buon compleanno, Israele! (Segni dei Tempi RSI La1)

Una svolta religiosa
Ce n'è abbastanza, insomma, da far tremare la minoranza non ebrea: gli arabi israeliani, che rappresentano il 17,5% dei cittadini del paese e che hanno subito gridato all’apartheid, sostenuti dalla sinistra e dagli israeliani che non si riconoscono in questa svolta religiosa.
Pochi giorni dopo la sua approvazione da parte della maggioranza di governo, la legge è tornata in discussione, ma questa volta a criticarla sono anche figure di primo piano della coalizione che l’ha votata e che oggi dicono: “Abbiamo commesso un errore e dobbiamo correggerlo”.

Shuki Friedmann (nella foto), direttore del centro "Religione, nazione e Stato" presso l’Istituto per la democrazia in Israele, spiega le sfide del nuovo testo di legge.

Quali sono le conseguenze dell’approvazione di questa legge?
Nell’immediato nessuna. La maggior parte degli articoli contenuti in questo testo hanno portata dichiarativa. A più lungo termine e sul piano giuridico incoraggerà invece i giudici dell’Alta corte di giustizia - l’organo giudiziario supremo del paese -, a favorire il carattere ebraico dello Stato quando dovranno trattare casi in cui sarà necessario trovare un equilibrio con i valori democratici.

Quali sono gli articoli che reputa particolarmente problematici?
Quello che precisa che lo Stato agirà al di fuori di Israele esclusivamente per preservare i legami tra lo Stato e i membri del popolo ebraico. Ciò significa che all’interno di Israele lo Stato potrà condurre azioni lesive degli ebrei all’estero o delle loro relazioni con Israele. Con questa legge si va verso una separazione netta tra gli ebrei all’estero e le questioni israeliane.

Ma il premier Netanyahu non ha bisogno proprio del sostegno degli ebrei della diaspora?
Il problema è che l’ebraismo riformato da essi praticato è profondamente disapprovato dagli ultrareligiosi di cui Benjamin Netanyahu ha bisogno per governare. Per gli ultraortodossi soltanto l’accettazione ortodossa dell’ebraismo deve avere voce in capitolo in Israele. È già così attraverso il rabbinato che legifera sullo status personale degli israeliani: matrimoni, divorzi, conversioni e così via. Gli ultraconservatori guadagnano terreno, lo si vede nella battaglia intorno alla preghiera mista al muro del pianto.

Donne al Muro del Pianto (Segni dei Tempi RSI La1)

Si può quindi ancora parlare di Stato democratico?
Assolutamente. Abbiamo la libertà d’espressione, elezioni, un’opposizione che funziona e che è peraltro riuscita a ottenere sostanziali modifiche al testo poi approvato giovedì. In sostanza la legge avrebbe dovuto prevedere il ricorso alla legge ebraica in assenza di giurisprudenza in un determinato ambito, la creazione di comunità vietate ai non ebrei o l’obbligo per i giudici dell’Alta corte di giustizia di favorire l’ebraismo in caso di collusione con la democrazia. Se questi punti non sono passati è perché la democrazia funziona. I cittadini non ebrei d’Israele si sentono comunque fortemente sfavoriti! C’è infatti un vero problema: Israele non ha mai sancito nelle leggi fondamentali l’uguaglianza tra i cittadini, nemmeno in quella del 1992 che si occupa della dignità umana e della libertà.

In fondo, il fatto che uno Stato che si definisce democratico favorisca i seguaci di una religione non è profondamente contraddittorio?
Sì, ma l’ebraismo non è soltanto una religione: è l’appartenenza a una nazione! E non c’è alcun problema a essere uno Stato nazione e una democrazia; diversi paesi combinano i due aspetti. La contraddizione può aver luogo se si considera l’ebraismo dal punto di vista della pratica religiosa. È lì che Israele cerca un equilibrio - un equilibrio profondamente mutato dalla legge approvata alla Knesset. (ProtestInter; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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