Irlanda del Nord. A 20 anni dall'accordo di pace

Firmato il Venerdì Santo, poneva fine a trent'anni di guerra civile

23 aprile 2018  |  Louis Fraisse

Per quasi diciotto mesi, nel 2010 e nel 2011, i belgi hanno vissuto senza governo. E se i nordirlandesi eguagliassero questo record? Martedì 10 aprile l'Irlanda del Nord ha celebrato i venti anni della firma dell'accordo di Belfast, chiamato anche accordo del Venerdì santo, ma il Paese è privo di esecutivo dal 16 gennaio 2017. Il DUP, primo partito della comunità unionista protestante che auspica la permanenza della regione in seno al Regno Unito, e il Sinn Fein, principale partito della comunità nazionalista cattolica (il cui obiettivo è la riunificazione dell'isola d'Irlanda), non riescono a superare i loro disaccordi. Quindi nulla è cambiato?

La pace tiene
L'accordo di Belfast firmato il 10 aprile 1998 ha segnato la fine di una guerra civile che aveva causato la morte di oltre 3.500 persone. L'accordo ha instaurato una condivisione del potere tra unionisti e nazionalisti. Venti anni dopo il suo bilancio è aperto, anche se il suo obiettivo principale, la pace, ha finora tenuto bene. “Rispetto agli anni Novanta l'Irlanda del Nord di oggi è irriconoscibile”, ricorda Christophe Gillissen, professore di studi irlandesi all'università di Caen-Normandie. “Prima dell'accordo c'erano posti di blocco, blindati nelle strade, il conflitto era visibile, tangibile. Queste tracce sono ampiamente scomparse”.

Divisioni profonde
Le caserme di polizia, autentiche fortezze, danno al visitatore un'idea dell'estensione delle violenze. Sebbene queste ultime siano diminuite, le divisioni all'interno della società restano profonde. Soltanto il 7% degli alunni nordirlandesi vengono scolarizzati in istituti “intercomunitari” che accolgono cattolici e protestanti in parti uguali. Gli altri vivranno a volte la totalità del loro percorso scolastico senza mai imbattersi in un solo giovane dell'altra comunità. Una divisione che si riscontra anche nello sport: sono rari i giovani protestanti tesserati in un club calcistico gaelico.

Muri della pace
Altrettanto dicasi per le case popolari: il 90% dei  complessi di edilizia sociale sono occupati esclusivamente o da cattolici o da protestanti. Nulla illustra meglio questa separazione dei “muri della pace”, barriere volte a limitare le interazioni tra le due comunità, in alcuni quartieri di Belfast in particolare. “Il conflitto è meno violento di prima, ma è lungi dall'essere concluso”, rileva Michael Doherty, mediatore interculturale con sede a Derry. “Non siamo riusciti a uscire da questa mentalità che ci impedisce di immaginare una visione condivisa del futuro. Resta da compiere un lavoro enorme per cercare di riconciliare una popolazione che non lo è mai stata prima”.

Passato presente
Sebbene l'accordo di Belfast abbia consentito enormi progressi, non ha mai realmente affrontato determinate questioni, divenute altrettanti ascessi. In particolare quella del rapporto con il passato. A differenza del Sudafrica, in Irlanda del Nord non è stata istituita alcuna commissione per la verità e la riconciliazione. Per numerosi parenti delle vittime il passato violento resta presente.

Visioni diverse della storia
I punti di frizione più preoccupanti riguardano i particolarismi culturali e identitari. I negoziati per uscire dalla crisi che paralizza l'esecutivo da oltre un anno si arenano per esempio sullo statuto da assegnare alla lingua irlandese. In Irlanda è in corso una “guerra culturale” latente in cui la minima concessione è percepita come una sconfitta, e in cui ciascuno marca il proprio territorio. Alle bandiere tricolore irlandesi dei quartieri cattolici rispondono le bandiere britanniche, scozzesi o dell'Ulster dei quartieri protestanti. In ogni campo le pitture murali inneggiano a una visione diversa della Storia. Ogni anno le tensioni vengono esacerbate durante la stagione delle parate, organizzate in maggioranza dalle organizzazioni unioniste. Volte a celebrare la storia protestante, sono percepite come trionfaliste quando si avventurano nei quartieri cattolici. Negli ultimi anni sono state intraprese a più riprese iniziative diplomatiche allo scopo di affrontare tali questioni, ma fino a oggi senza successo.

Incognite legate alla Brexit
Ma la maggiore fonte di preoccupazione in Irlanda del Nord è attualmente la Brexit, anche se la regione ha votato "no" con una percentuale del 56%. Se il Regno Unito lascerà l'UE e quindi il mercato comune, dovrà essere instaurato nuovamente un confine doganale tra le due Irlande. Un ritorno agli anni peggiori della guerra civile, casus belli per i nazionalisti. La soluzione di spostare verso il mar d'Irlanda la frontiera tra la Gran Bretagna e l'isola d'Irlanda sarebbe una dichiarazione di guerra agli unionisti, mentre la coalizione al potere a Westminster dipende dai dieci deputati del DUP. Un'altra opzione sarebbe che il Regno Unito restasse all'interno del mercato comune e dell'unione doganale. Ma una soft Brexit di questo genere sarebbe inconcepibile per numerosi deputati conservatori britannici.

Unica certezza
Il rompicapo presenta un grosso rischio per l'equilibrio della società nordirlandese. “Uno dei punti di forza dell'accordo del 1998 è la possibilità di far convivere due visioni, quella nazionalista e quella unionista, nel medesimo territorio”, constata Christophe Gillissen. “Un unionista può immaginare di vivere all'interno del Regno Unito, ed è così dal punto di vista costituzionale, proprio come un nazionalista può immaginare di vivere in Irlanda, cosa probabilmente più discutibile ma sostenibile, sulla base tanto dell'accordo quanto dell'assenza di una frontiera visibile. Il problema creato dalla Brexit è che obbliga a decidere tra queste due visioni. Ma a questo gli elettori britannici avevano pensato? (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt)

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