Esiste un legame tra protestantesimo e pirateria?

A sostenere la tesi non priva di plausibilità è il filosofo Olivier Abel

29 dicembre 2017  |  Olivier Abel

Dai pirati che infestano i mari della Somalia ai siti di download libero che permettono agli internauti di aggirare le leggi sul copyright, la questione della pirateria torna alla ribalta. Stiamo per sprofondare in un mondo di saccheggio e predazione generalizzati? Non era proprio questo che temeva Carl Schmitt, il giurista del Terzo Reich, il quale vedeva gli Stati terrestri, difensori della sicurezza e della proprietà, sommersi dalle potenze marittime, liberali e oceaniche? E non era questo già il dibattito che opponeva il filosofo britannico Thomas Hobbes e lo scrittore, poeta e teologo inglese John Milton? E se la grande epopea dei filibustieri si collocasse nell'alveo del medesimo movimento che ha prodotto la Riforma protestante, con il periodo di guerre terrestri e marittime che essa apre e fino alla rivoluzione puritana inglese? L'idea ci viene dalla lettura della famosa Storia generale dei pirati pubblicata nel 1724 a Londra da un misterioso Capitano Johnson, che secondo lo storico inglese Christopher Hill non era altri che Daniel Defoe, l'autore di Robinson Crusoe.

Predare il predatore
Il fatto è che molto presto il vasto impero spagnolo e cattolico, con i suoi conquistadores che ogni anno portano in Europa l'oro a bordo delle navi, è apparso come il grande razziatore. E come oggi gli Stati Uniti, deve lottare contro tutti per garantire la propria egemonia: si tratterà dunque di predare il predatore, di saccheggiarlo. Ma c'è anche il fatto che l'oceano è in sintonia con la nuova teologia. Sull'oceano non c'è più né re né papa, ognuno è da solo con Dio. Capitani e marinai, costretti a vivere ogni giorno senza certezza del domani, apprendono presto che è impossibile impossessarsi del mare, trattenerlo tra le proprie dita. Questa condizione permette nel contempo di contrattare alleanze nuove, alleanze libere, tra soggetti che mantengono tuttavia il diritto di andarsene. E la grande questione politica diventerà allora a poco a poco “come restare insieme” quando si può sempre partire, slegarsi.

La corsa protestante
I corsari protestanti sono stati lanciati all'assalto dell'impero cattolico spagnolo che si era appropriato della parte più consistente del nuovo mondo. Gaspard di Coligny, dal 1552 ammiraglio di Francia e capo del partito protestante, è uno dei primi a comprendere la nuova situazione geopolitica e ad agire di conseguenza. A partire dal 1562 e fino al 1628, la città di La Rochelle diventa la vera capitale del partito protestante ugonotto e una base per la pirateria francese. In un solo anno, i corsari di Enrico IV accumulano un bottino che ammonta a 800.000 scudi d'oro.
Stessa storia nei Paesi Bassi, dove i “gueux de la mer” [i mendicanti del mare, ndr.] cacciano il Duca d'Alba inviato nel 1566 dal re spagnolo Filippo II - il termine filibustiere deriva dall'olandese vryjbuiter, “libero saccheggio”.
Dalla sua ascesa al trono nel 1558 Elisabetta I d'Inghilterra protegge i pirati e i contrabbandieri inglesi e arma lei stessa dei capitani corsari che saranno presto chiamati i cani del mare: sir Walter Raleigh, Francis Drake e gli altri.

Sull'oceano non c'è più né re né papa, ognuno è da solo con Dio

Rivoluzione inglese
Ma l'apoteosi della pirateria protestante arriva con l'ascesa e il declino della rivoluzione inglese di Oliver Cromwell, con la dispersione di tutti quei puritani radicali che sono i Levellers [movimento politico sviluppatosi durante la rivoluzione inglese che promuoveva la tolleranza religiosa, l'uguaglianza di fronte alla legge e l'ampliamento del suffragio, ndr.], i Diggers [letteralmente zappatori, che ai tempi della rivoluzione inglese si unirono per lavorare le terre comuni secondo principi comunitari, ndr.], i Ranters [altro movimento sorto durante la Rivoluzione, che criticava l'autorità della chiesa e invitava a dare ascolto unicamente a Gesù nella propria coscienza, ndr.] e altri quaccheri [appartenenti a una corrente cristiana dissidente, definitasi "società degli amici", priva di gerarchia ecclesiastica, ndr.].
In questo contesto si può evocare la “piantagione”, per opera di Roger Williams, della colonia di Providence nel Rhode Island negli anni Trenta del 1600, dove egli accoglie i quaccheri perseguitati. Negli anni Trenta del 1600 la Providence Island Company (il cui tesoriere, John Pym, puritano fervente, è l'anima dell'opposizione a Carlo I) si impossessa di un'isola dei Caraibi per farne una terra d'asilo per i dissidenti religiosi. Successivamente, nel 1655, l'ammiraglio William Penn (il padre dei quaccheri), su ordine di Cromwell, si impossessa della Giamaica, che diventa il grande centro della filibusteria.
Scriveva Gerrard Winstanley, nel 1652: “All'inizio del tempo il grande creatore, la Ragione, fece la terra perché fosse un tesoro comune al fine di provvedere ai bisogni degli animali selvaggi, degli uccelli, dei pesci e dell'uomo. Neanche una parola fu detta all'inizio sul fatto che una parte dell'umanità dovesse comandare su di un'altra. Ma nel loro egoismo alcuni immaginarono di stabilire che un uomo insegni e comandi su di un altro. E avvenne che sulla terra furono innalzati recinti e steccati da coloro che insegnano e governano; e altri furono fatti schiavi. E questa terra in cui la creazione aveva immagazzinato ricchezze comuni a tutti viene comprata e venduta”.

Filibustieri, corsari, bucanieri e la Divina Provvidenza
L'epoca dei filibustieri fiorisce, in particolare nei Caraibi, tra il 1630 e il 1670. Durante questo periodo sorge una società composta da superstiti, proscritti e dissidenti. Hanno imparato dagli indiani a cacciare, a seccare la carne e a conciare il cuoio, così come a usare piante medicinali e tabacco. Il fatto è che nei nuovi mondi tutto è offerto a profusione dalla Divina Provvidenza. Si potrebbe quasi affermare che i bucanieri ricuperino certe forme arcaiche di società di caccia e raccolta, che vivano in un mondo fatto di itinerari, di saccheggi e di patti e non di spazi recintati.
La figura biblica dell'alleanza permette di ripensare il rapporto con gli altri, con il mondo e con Dio come una serie di patti. L'economia del dono e dello scambio è messa da parte, sostituita da quella della “appropriazione”, che si ritrova fin nel titolo di un'opera del filosofo olandese Ugo Grozio, Il diritto naturale dell'appropriazione.
La tempesta della storia ha stroncato tutti i legami e la nave pirata è l'utopia multireligiosa e multirazziale di una libera adesione, dopo la tempesta. Le nuove regole sono rigide, come in una antirealtà, ma la regola fondamentale rimane il diritto di partire: dopo la battaglia un pirata può sempre lasciare liberamente il suo equipaggio esigendo la propria parte del bottino.

Paradiso perduto
Queste idee sono condivise dal poeta della rivoluzione puritana, John Milton, l'autore del Paradiso perduto, ma anche inventore del divorzio per semplice consenso e colui che ha giustificato il regicidio per rottura del patto politico. Milton è, in qualche modo, l'inventore del diritto di troncare. Poiché sull'oceano tutto si slega, tutto viene continuamente slegato, bisogna rivedere gli ormeggi, i legami, le corde, i nodi e i patti. È di Milton il pensiero di questa nuova società in arcipelago, incapace di stabilirsi, sempre pronta a ricominciare altrove, in opposizione allo Stato-nazione, terrestre e centralizzato, del quale il filosofo Thomas Hobbes, partigiano della monarchia, fa allora l'elogio di fronte ai disordini nei mari.

Evoluzione contemporanea
Oggi è ancora ai margini del sistema che in tutta impunità si manifesta una nuova pirateria: che siano pilotate da un capitalismo predatore o da movimenti di tipo integralista, sono sempre di più le reti armate che sfuggono agli Stati e saccheggiano le loro prede ai margini marini o desertici dei territori “securizzati”, ma anche nelle periferie delle megalopoli incontrollabili.
C'è tuttavia un seguito ultracontemporaneo a questa epopea: è quello che è stato chiamato il movimento del software libero, all'origine dell'internet come utopia politica, che ha entusiasmato una generazione intera di pionieri, prima della guerra che consegna i grandi monopoli informatici agli “hacker”. Questa utopia si biforca nel momento in cui le grandi ditte brevettano invenzioni anonime, perché gli uni vogliono far valere il loro lavoro e i loro diritti d'autore - anche se ciò significa entrare nella logica capitalista -, e gli altri rifiutano questa appropriazione privata, ma si ritrovano nell'insicurezza.

Il seguito ultracontemporaneo di questa epopea è il movimento del software libero

Questi dibattiti sono appassionanti in termini di invenzione politica: è come se il capitalismo dovesse biforcarsi tra una logica di lavoro ma anche di proprietà cumulativa (le grandi industrie culturali che proteggono il diritto d'autore) e una logica di predazione marginale, ma anche di appropriazione forzata (i fornitori di accesso a tutte le reti). Ed è così tutta la questione giuridica e politica dell'evoluzione attuale degli Stati di fronte alla globalizzazione che liquida le vecchie frontiere: i pirati si aggirano ai margini delle nostre società, rafforzando il nostro desiderio di sicurezza a ogni costo. (in Esprit, 356; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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