Una moda come un'altra?

Abbigliamento pudico nuovo trend seguito da grandi marchi della moda internazionale

20 agosto 2016

(Aline Bachofner) Marks&Spencer, Uniqlo, Dolce&Gabbana e Mango si sono lanciati nel mondo della moda islamica suscitando proteste in Francia. Con le loro linee di abbigliamento “pudiche”, i grandi marchi si rivolgono a un mercato in piena espansione: donne che desiderano seguire la moda e allo stesso tempo affermare la propria appartenenza religiosa.

Donne nascoste
La polemica è nata sulle onde della radio online RMC. La ministra francese dei Diritti delle donne, Laurence Rossignol, interpellata sulla strategia di marketing di questi marchi, ha denunciato una promozione della prigionia del corpo delle donne e ha rifiutato di riconoscere la libera scelta di alcune di vestirsi in questo modo. Per la ministra le donne con il velo sono militanti dell'islam politico assoggettate al salafismo. Le hanno fatto seguito Elisabeth Badinter, che ha invitato a boicottare questi marchi, e Pierre Bergé, ex compagno di Yves Saint Laurent, che ha denunciato una moda “complice di questa dittatura imposta che fa sì che si nascondano le donne”.

Libertà o costrizione?
La moda “pudica” non poteva sperare in una pubblicità migliore. Dopo la polemica tutto il mondo francofono scopre un mercato in piena espansione che interessa tanto i musulmani quanto gli ebrei ortodossi e i cristiani evangelicali. Secondo Hanna Woodhead, dottoranda presso la Facoltà di teologia di Ginevra, sempre più credenti desiderano coprire il proprio corpo in una società che invita a denudarlo, come affermazione della loro libertà religiosa. “C'è un modo nuovo di accettarsi in quanto credenti e non soltanto nell'abbigliamento”, osserva. “I cattolici, per esempio, riscoprono la Quaresima, un obbligo che osservano per scelta e non per convenienza. La libertà non è necessariamente assenza di obblighi”. La dottoranda, che lavora sulla moda pudica come nuovo vettore di dialogo tra donne cristiane, ebree e musulmane, crede nell'autodeterminazione di una gran parte delle musulmane che indossano il velo. “Scegliere di coprirsi significa anche sottrarsi all'obbligo della snellezza e del corpo perfetto. Per alcune si tratta di una vera libertà!”.

Diffusione del velo
Fino a oggi le adepte della moda pudica trovavano la loro felicità in internet, dove  creatrici specializzate propongono abiti che coprono le braccia, le anche e la scollatura, così come ogni genere di hijab colorati e accessori coordinati. Abiti che bisogna andare a scovare in rete e che non campeggiano sui cartelloni pubblicitari. Con l'entrata in gioco dei grandi marchi alcuni temono una normalizzazione dell'abbigliamento islamico e dell'uso del velo. È il caso di Martine Chaponnière, presidente della fondazione Emilie Gourd, che sostiene la causa delle donne nella Svizzera romanda. “Il velo occupa già troppo la nostra mente e il fatto che si diffonda nelle strade, a scuola e adesso sulle passerelle non è privo di significato. Per i marchi si tratta dell'occasione di conquistare nuovi mercati. Ma il loro approccio comporta conseguenze. Il velo non è soltanto un pezzo di stoffa, veicola un messaggio, quello della sottomissione della donna”.

Codici della moda
Un timore che non è condiviso da Yasmina Foehr Janssens, professoressa di letteratura e studi di genere all'Università di Ginevra. Al contrario, Foehr Janssens vede di buon occhio una “deghettizzazione” di questo capo di vestiario, che abbatte i codici della moda occidentale. La ricercatrice, coautrice dell'opera collettiva Voile, corps et pudeur, pubblicata nel 2015 per le edizioni Labor et Fides, deplora piuttosto il gioco di specchi tra una difesa “femminista” dei valori occidentali e le posizioni fondamentaliste. “Predicare la tolleranza e l'uguaglianza non è imporre un modo di vivere, da qualunque parte venga fatto”, afferma. “Costringerci a portare il velo è una violenza tanto quanto lo è obbligarci a toglierlo”. E Yasmina Foehr Janssens ricorda l'insegnamento della cultura cristiana che ha forgiato i valori a cui l'Occidente si richiama: “Concentrarsi sull'abbigliamento significa dimenticare la differenza tra la lettera e lo spirito. Noi abbiamo la tendenza ad abbracciare una posizione formalista ed è proprio questa la trappola del fondamentalismo”.

Qualche paradosso
Mallory Schneuwly Purdie, fondatrice del servizio di consulenza “Pluralités” e direttrice del gruppo di ricerca sull'islam in Svizzera, rileva un altro paradosso del discorso antivelo. L'immagine della donna occidentale è quella di una donna libera e padrona della sua esistenza. Ma con ciò si dimentica che tutte le donne subiscono le ingiunzioni della moda che determina i codici della femminilità. E quelle che rifiutano tali codici sono ben presto tacciate di lesbismo. “Le donne messe in scena dalla moda pudica propongono un altro modello di femminilità ricorrendo ai codici della moda occidentale. Non sono completamente diverse e nemmeno completamente come noi. È probabilmente questo che dà fastidio”, è l'analisi della ricercatrice. (Protestinfo; trad. it. G. ;. Schmitt/voceevangelica.ch)