Prossima fermata Marrakech

È in corso di svolgimento il primo vertice sul clima dopo Parigi

08 novembre 2016

(Jürg Staudenmann) “Azione ed applicazione”: questo è il tema del primo vertice sul clima dopo Parigi. Archiviata la parte diplomatica, ora inizia il duro lavoro, rimandato fino a questo momento, sui punti cruciali. Il tema ricorrente del “finanziamento climatico” continua a dividere ricchi e poveri. Una Svizzera “molto ambiziosa” fa parte dei paesi che spingono il piede sul freno.

Entrata in vigore dell'accordo
L’Accordo di Parigi sul clima potrebbe entrare in vigore molto prima del previsto. Il numero necessario di paesi (55) che hanno ratificato l’accordo e che coprono il 55% delle emissioni globali richieste, potrebbe essere già raggiunto quest’anno. Dopo che gli Stati Uniti e la Cina hanno depositato i loro strumenti di ratifica all’ONU, il Brasile e Panama hanno fatto lo stesso.
Anche il mondo economico sembra mantenere la rotta: 120 imprese globali, che gestiscono insieme un volume di investimenti pari a 13’000 miliardi di dollari, chiedono ai governi, in seguito al summit del G-20 a Hangzhou, di ratificare ancora quest’anno l’accordo di Parigi e di definire direttive vincolanti, per permettere d’identificare i rischi finanziari legati al clima e di minimizzarli.

Accelerazione inattesa
La probabile entrata in vigore dell’Accordo nel 2016 ha creato un certo fermento nei preparativi della prima conferenza sul clima (COP22) dopo la firma del nuovo accordo sul clima. Si pensava di avere molti anni per affrontare le questioni di applicazione lasciate aperte a Parigi, ma nel summit sul clima, aperto il 7 novembre e che si chiuderà il 18, a Marrakech, si parlerà già dell’applicazione dell’accordo di Parigi. Laurence Tubiana (ambasciatrice speciale della Francia per il clima) e Hakima El Haité (ministra marocchina incaricata dell’ambiente) - presidenti uscente ed entrante del summit - in qualità di “High-level Champions” dovranno presentare un’analisi della situazione e proposte concrete per contribuire all’applicazione dell’accordo di Parigi entro il 2020.

Il nodo del finanziamento
I paesi membri dell’OCSE quest’estate hanno iniziato i lavori per stabilire una “Roadmap” per assicurare il finanziamento della lotta contro i cambiamenti climatici. A Marrakech, questi paesi dovranno dimostrare in che maniera pensano di adempiere ai loro impegni verso i paesi più poveri e più esposti. La promessa dei paesi ricchi di mobilitare, entro il 2020, 100 miliardi di dollari è sul tavolo dalla COP16 a Cancún nel 2010. Anche a Parigi si è ribadito questo impegno.
Il primo scambio informale con i paesi beneficiari avvenuto a giugno ha quasi causato - senza sorpresa - uno scandalo. La metodologia definita un anno fa dall’OCSE (nota bene, sotto la presidenza degli Stati Uniti e della Svizzera) ne è stato il detonatore. Questa metodologia è molto controversa visto il fatto che oltre ai flussi effettivi, prevede “flussi finanziari virtuali” e prestiti rimborsabili che dovrebbero poter essere contabilizzati nei 100 miliardi di dollari: ivi compresi i progetti esistenti già finanziati dal budget per lo sviluppo ma che non sono destinati a misure di protezione del clima.
I paesi in sviluppo denunciano il fatto che i paesi ricchi si concentrino sempre su artefici contabili invece di mobilitare - come previsto nell’accordo sul clima - nuovi mezzi finanziati adeguati ed esigono che la nozione di “finanziamento climatico” sia finalmente definito in maniera chiara e non equivoca.

E la Svizzera?
La posizione del Consiglio federale all’apertura della consultazione sulla politica climatica post 2020 - che comprende la revisione della legge sul CO2 e la ratifica dell’accordo di Parigi - si legge come un opuscolo di una vecchia biblioteca. Gli obiettivi di riduzione a livello nazionale del 30% (rispetto al livello del 1990) fino al 2030 sono gli stessi già comunicati prima del COP 21 a Parigi. Si trovano ad un livello ridicolmente superiore del 4% rispetto alle previsioni “business as usual”. Per raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi, dovrebbero essere due volte superiori. Il Consiglio Federale ammette, nel testo esplicativo, che così l’accordo di Parigi non verrà applicato interamente. Il CF vuole semplicemente vedere la Svizzera figurare “tra i sessanta primi paesi” che hanno ratificato l’accordo di Parigi.

Marcia indietro
Una posizione che è in forte contraddizione con quella difesa a Parigi, dove la Svizzera si è aggiunta alla “coalizione con grandi ambizioni”. Il rischio è che la Svizzera si ritrovi a Marrakech sul banco degli osservatori e sia ridotta ad assistere al negoziato dell’applicazione dell’accordo sul clima tra le parti. A questo proposito, il progetto di legge sul CO2 non affronta nemmeno la questione di sapere come la Svizzera assicurerà i suoi contributi al finanziamento del clima, contributi che il CF ha stimato, nel frattempo, tra i 450 e i 1’100 milioni di franchi all’anno.
Resta da sperare che la consigliera federale Doris Leuthard si lasci ispirare - meglio tardi che mai - dalla sua ultima visita di lavoro a settembre in Svezia, paese che vuole liberarsi totalmente delle energie fossili entro il 2030. (Alliance Sud; trad. it. Daisy Degiorgi)

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