Buddismo patrimonio culturale dell'umanità

Intervista con lo studioso delle religioni Georg Schmid

25 gennaio 2016

A differenza dell'islam, oggi il buddismo riscuote una certa simpatia. I suoi insegnamenti e le sue sollecitazioni alla meditazione vengono accolti anche in contesti cristiani. Il buddismo affascina. Perché? Che cosa ha da dirci? Un colloquio con lo studioso delle religioni Georg Schmid.

Georg Schmid, lei si è occupato a fondo del buddismo e lo ha anche affrontato come materia di insegnamento all'Università di Zurigo. Gli insegnamenti di Buddah l'hanno toccata anche personalmente?
Ad affascinarmi sono soprattutto la figura e la filosofia di Gautama, il Buddah. Egli era un “pensatore in profondità”, una persona che traduceva in pratica, nella sua vita, tutto ciò che apprendeva. Come lui pochissime altre figure - penso a Gesù di Nazareth e a Socrate - si sono impegnate in modo così radicale con tutto il proprio essere nel mettere in pratica le proprie conoscenze. I “pensatori in profondità” mi affascinano. Anche a me piacerebbe non fermarmi a metà strada nella mia vita.

Che cosa ha imparato da Buddha per la sua vita spirituale?
Non l'ho ancora imparata, ma sento che devo continuare a lavorarci sopra: la pacatezza. Il Buddha è il filosofo della transitorietà radicale. Nulla ha un'essenza eterna in sé. Tutto viene e va. Voler trattenere qualcosa è assurdo e rende infelici. Voler avere qualcosa, voler essere qualcosa, voler rappresentare qualcosa: sono tutti desideri insensati e allo stesso tempo così consolidati in me - come probabilmente in molti altri - che quasi non riesco a liberarmi da questa assurdità tragica e radicata. Due figure potrebbero aiutarmi a scampare a questa tragedia, ciascuna in modo molto diverso: Buddha e Gesù. La via di scampo offerta da Buddha si chiama meditazione profonda (“vipassana” o “satipatthana”). È quella che cerco di praticare, seppure da principiante.

Lei nomina due figure che le sono di aiuto nel suo cammino spirituale: Buddha e Gesù. Come la aiuta Gesù, la figura messianica ebraica?
Gesù, come lo incontro nei vangeli, mi apre la porta a un'esperienza unica: Dio tra noi umani. L'inimmaginabile, l'assoluto, l'inarrivabile, l'eterno e perciò anche infinitamente lontano e astratto, il segreto dietro tutte le cose e gli esseri viventi, diventa presente, concreto, vive e opera in mezzo a noi e in noi. Questa esperienza trasforma il mio mondo. Anche Buddha, quando mi pongo concretamente sul suo cammino meditativo, mi schiude la porta su una nuova esperienza: "anatta", la chiama il Buddha, che possiamo tradurre con "non-io", "non-sé". Tutto scorre. Nulla rimane uguale. Anche in ciò che chiamo il mio io o la mia persona o la mia anima, non si trova un nucleo eterno. Buddha mi conduce infine a un radicale vuoto interiore.

Da un lato il vuoto, dall'altro lato Dio tra noi. Ma l'uno non è il contrario dell'altro?
Lo pensavo anch'io una volta. Ma ormai non ne sono più così sicuro. Quando con la meditazione mi muovo in direzione del “non-io” apro uno spazio per Dio. Forse sperimento Dio, l'eterno, qui e oggi in modo per me davvero reale solo quando non voglio più tenermi stretto nulla, quando tutto ciò che è transitorio - compreso il mio stesso io -, mi indirizza lì dove tutto scorre: nella corrente della transitorietà radicale. Devo rimuovere tutto, prima che egli possa venire a insediarsi.
Nel cristianesimo non si tratta soltanto della liberazione da tutto ciò che è transitorio. Ci viene promesso il regno di Dio. E lo Spirito Santo dona ragione e forza per trasformare anche la vita sociale. Veniamo chiamati nel mondo come individui per svolgervi un servizio sacro.

Non è una forza completamente diversa da quella indicata dalla via buddista?
Il buddismo è in sé già da tempo molto vario e lo diventa sempre di più. Per la maggior parte delle scuole - dette anche “veicoli” - lo scopo ultimo è la liberazione di tutti gli esseri viventi dalle cose del mondo, cioè il Nirvana. Secondo una vecchia definizione il Nirvana è “la fine della cupidigia, dell'odio e dell'illusione”. A differenza del cristianesimo, il buddismo non spera in un nuovo cielo e in una nuova terra. E nemmeno si interessa di un Dio creatore. Di conseguenza nemmeno una nuova creazione è un tema buddista.

Quindi il buddismo è meno interessato alla convivenza sociale delle persone?
Lungo il cammino verso l'ultimo "Nulla", il buddismo non è privo di interesse verso ciò che ci circonda. Nel Theravada, l'antica scuola buddista del sud - diffuso nello Sri Lanka, in Birmania, Thailandia e Cambogia -, i laici devoti praticano il "metta", l'irradiazione del bene, la benevolenza nei confronti di tutti gli esseri viventi. Nel Mahayana, il Grande veicolo - diffuso soprattutto in Cina, India, Giappone e Tibet -, l'ideale è il "bodhisattva", un essere spiritualmente molto progredito che rinuncia all'ingresso nel Nirvana finché ci sono ancora esseri sofferenti in questo mondo. I bodhisattva si ripresentano in sempre nuove incarnazioni per aiutare tutti a trovare la liberazione.
Il Dalai Lama è solo uno tra tanti bodhisattva. Accanto all'irradiazione del bene del Theravada e ai bodhisattva del Mahayan,a c'è oggi il buddismo consapevolmente impegnato socialmente e politicamente, forse anche un po' ispirato dal cristianesimo e/o dal marxismo. Non possiamo perciò affermare che il buddismo non si interessi al mondo.

Il buddismo Zen ha sviluppato un rapporto particolare con la natura. Come è avvenuto?
Due grandi e imponenti percorsi meditativi di conoscenza hanno trasformato l'antico buddismo, oggi chiamato Theravada, scuola degli anziani, nel buddismo Zen. Dapprima, circa duemila anni fa, nel buddismo dell'India meridionale - quando l'India era ancora ampiamente buddista - si è giunti a comprendere che il Nirvana, lo scopo così ardentemente perseguito, non è affatto qualcosa di lontano, né il Nulla. “Questo mondo (Samsara) è Nirvana”, è la grande scoperta dell'antico Mahayama. In seguito, quando il buddismo Mahayama giunse in Cina e da lì passò anche in Giappone, i maestri e i discepoli impararono a vivere questo Nirvana celato in ogni cosa in maniera concreta e priva di limitazioni. L'abilità di concretizzare è una caratteristica dello spirito cinese e giapponese. In generale si parlava del perseguimento dello scopo come della natura del Buddha.

Com'è possibile fare esperienza della natura del Buddha?
La natura del Buddha in noi e in tutte le cose è sperimentabile escludendo i nostri normali pensieri e divenendo uno con ciò che stiamo osservando o facendo. Un discepolo chiese al suo maestro Zen: “Come posso trovare la strada dell'illuminazione?”. Il maestro rispose: “Puoi udire il mormorio di un ruscello di montagna?”. Ovviamente a questo punto il discepolo non deve pensare: “Se mi siedo un po' accanto a un ruscello di montagna sarò immediatamente illuminato”. No, lo Zen richiede perseveranza. Il nostro spirito razionale non rinuncia così facilmente allo schema oggetto-soggetto. Il discepolo deve praticare la sua meditazione presso il ruscello di montagna tanto a lungo e intensamente finché, libero dai pensieri, diverrà uno con il mormorio del ruscello.
L'approccio puramente razionale adottato da molti, in Occidente, porta a una percezione limitata del mondo. Lo Zen può aiutare a cogliere il mondo in modo diverso, più intuitivo. (da Kirchenbote St.Gallen; intervista di Andreas Schwendener; trad. it. G. M. Schmitt)