Islam la riforma possibile

La religione musulmana ha una lunga tradizione riformista che, a detta di numerosi islamologi, occorre proseguire

28 settembre 2015

(Alexandre Mendel) Due fatti recenti esemplificano la difficoltà di ripensare l'islam. Il primo riguarda l'imam della grande moschea di Montpellier, Farid Darrouf, dimessosi recentemente su pressione di una piccola, ma rumorosa, minoranza di salafiti che vedevano nella sua moderazione l'espressione di un Occidente che essi rifiutano. Il secondo è più rivelatore: si tratta della sospensione dell'attività della fondazione al-Kawakibi, che riunisce intellettuali musulmani che prevedono di organizzare per l'anno prossimo un forum mondiale per la riforma islamica.
Tra i fondatori di questa struttura, Ghaleb Bencheikh, presidente della Conferenza mondiale delle religioni per la pace e figlio di Cheikh Abbas, illustre ex rettore della Moschea di Parigi: “Abbiamo ricevuto minacce dall'organo centrale del Daesh. Attualmente siamo a un punto morto. Alcuni hanno dovuto lasciare la nostra organizzazione”. L'idea di una rifondazione del pensiero islamico non piace molto. È il minimo che si possa dire.

La svolta moderna
La riforma, nell'islam, “non è un argomento nuovo. Sarebbe persino anacronistico parlarne oggi”, sottolinea Mathieu Guidère, professore di islamologia all'università Jean-Jaurès di Tolosa. “È d'attualità dal 19. secolo!” Epoca in cui le università del mondo musulmano “insegnavano i precetti di grandi riformatori come Mohamed Abduh o Sayyid Jamal Al-Din Al Afghani”. Epoca inoltre in cui Tahtawi, riformatore della moschea al-Azhar del Cairo, fu inviato nel 1826 in Francia dal viceré d'Egitto, Mohammed Ali, per adattare l'islam alla modernità. Il titolo del libro che pubblicò al suo ritorno evoca la grande considerazione in cui teneva l'Illuminismo: L'oro di Parigi.
“Non c'erano scuola elementare, mescolanza di genere, secolarizzazione. Tutto questo verrà introdotto da religiosi che penseranno un islam moderno. È quello che hanno chiamato 'l'islam illuminista'”, spiega Mathieu Guidère, che è anche cofondatore del programma di vigilanza contro il fanatismo, Radicalization Watch Project. E sottolinea che “già nei secoli 19. e 20. certi pensatori erano stati uccisi a causa di questo compito”.

Un dibattito antico
“Durante un confronto tra Afghani e Ernest Renan alla Sorbona nel 1883, Renan aveva affermato che l'islam non consentiva lo sviluppo dello spirito scientifico perché era in ritardo”. Oggi questa abitudine della polemica è venuta meno. “Tutto sta nel riportare in vita il genio e l'audacia degli umanisti di espressione araba, non necessariamente musulmani, ma sempre in un contesto islamico”, è la speranza di Ghaleb Bencheikh, che prosegue: “Questa tradizione religiosa dev'essere depurata dai germi della barbarie e dell'intolleranza”.
La svolta letale fu lo Stato moderno. Quello della secolarizzazione del potere. È, per esempio, l'avvento al potere di Atatürk in una Turchia che ha abolito il califfato. È l'epoca in cui il grande teologo Ali Abderraziq viene messo alla porta da al-Azhar, in Egitto, per aver appoggiato le tesi del padre della Turchia pubblicando, nel 1925, "L'islam e i fondamenti del potere", autentica miccia accesa nel mondo musulmano. “A partire da quel momento”, osserva Mathieu Guidère, “non è stata mai più questione di riformare l'islam, ma di riformare il governo”.

Religione e politica
La divisione ha alimentato i rancori, come quando Bourguiba chiese alla gente di lavorare di più durante il ramadan. “Il presidente tunisino, paladino della secolarizzazione, aveva convocato il mufti della Tunisia Mohamed Tahar Ben Achour affinché emettesse una fatwa in questo senso. Il mufti rifiutò e Bourguiba lo mandò in carcere e chiuse l'università della Zitouna”, racconta Mathieu Guidère.
L'islam, divenuto religione istituzionale, in particolare in Arabia Saudita, è stato il germe dell'ascesa dell'islamismo, fino alla primavera araba. Con il contagio dell'Occidente e “i ciarlatani dell'islam che pullulano dalla diffusione generalizzata di Internet a partire dal 2005”. Senza dimenticare le umiliazioni (“le cause esogene”, dice Ghaleb Bencheikh): Abu Ghraib, Guantanamo e tutte le risoluzioni dell'ONU sul conflitto israelo-palestinese che non sono mai state applicate.
Si tratta di un problema politico e non religioso? Ghaleb Bencheikh non ne è molto convinto. “L'onestà mi spinge a dire che se siamo arrivati a questa situazione, dalla Nigeria all'isola di Jolo, da Boko Haram al Daesh, è perché tutto questo ha a che fare con l'islam. Non ci sono soltanto dei ciarlatani tra gli islamisti. Ci sono anche studiosi che hanno pervertito il messaggio coranico o che si abbeverano di letteratura superata. Assistiamo a una autentica abrasione della ragione”.

Un Lutero musulmano?
Attendiamo un Lutero musulmano? “No. Personalmente non voglio parlare di riforma, preferisco l'idea di una rifondazione”, spiega Ghaleb Bencheikh. Il teologo dell'islam più famoso di Francia vede tre assi in questa rifondazione: “Trasgressione, spostamento e superamento. Bisogna trasgredire i tabù. Non osiamo dire più niente. Lo spostamento significa saper sottomettere lo studio del sacro a altre discipline, come la storia, le scienze umane ecc. Occorrerà anche superare i sistemi giuridici i cui fondamenti teologici vacillano sempre di più”.
Con quale risultato se la fondazione al-Kawakibi è ferma o imam come Farid Darrouf sono costretti ad abbandonare la propria moschea? “Sono ottimista. Ciò che è stato possibile nel passato lo sarà ancora nel futuro”, afferma Ghaleb Bencheikh.
Mathieu Guidère, dal canto suo, è meno ottimista: “L'islam dei paesi del sud-est asiatico non pone alcun problema. La questione è politica. Bisognerebbe quasi indire dei referendum. La maggioranza dei musulmani, secondo tutti i sondaggi d'opinione, è contro un islam coercitivo, ma allo stesso tempo si ritiene offesa dalla secolarizzazione della seconda metà del 20. secolo. Il paradosso è che questi moderati non sono mai visibili”.

Il ruolo delle donne
Anche le donne devono fare la propria parte. Per l'avvocata Sonia Ben Mansour, esperta di diritto di famiglia e che sta lavorando a un libro incentrato in particolare sulla questione del velo, “esse sono già presenti. In Arabia Saudita, dove manifestano per poter viaggiare all'estero senza l'autorizzazione del proprio marito - ciò che è ormai possibile. In Iran, dove le donne si scoprono il capo per protestare contro l'obbligo di indossare il velo islamico”. Deplora inoltre certi luoghi comuni: “Una donna velata potrebbe benissimo essere alla guida della propria famiglia e una donna non velata sottomessa al suo compagno o sposo. Ma è fuor di dubbio che devono intervenire rapidamente dei progressi, come l'abolizione delle istituzioni familiari di diritto musulmano quali la poligamia o il ripudio e l'obbligo di portare il velo”.
Un processo a lungo termine. Tutti gli esperti dell'islam ricordano questo hadit del Profeta: “All'inizio di ogni secolo Dio invia a questa comunità un riformatore per adeguare la sua religione alle circostanze della sua epoca”. Siamo nel 1436. Il tempo stringe. (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt/voceevangelica.ch)