Nutrirsi è condividere

Il discorso del pastore della chiesa valdese di Milano Giuseppe Platone, che ieri ha firmato la Carta di Milano a Expo 2015 insieme alle altre comunità cristiane di Milano

02 settembre 2015

(ve/nev/riforma.it) Undici esponenti del Tavolo interreligioso e del Consiglio delle chiese cristiane del capoluogo lombardo in rappresentanza delle principali comunità di fede di Milano si sono riuniti il 1. settembre sul palco dell’EXPO per confrontarsi sul tema della produzione e del consumo di cibo nel pianeta. L’incontro interreligioso è stato l’occasione ufficiale per firmare la Carta di Milano e benedire il cibo ognuno secondo le proprie tradizioni.
L'evento è stato aperto dal ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dal commissario unico Giuseppe Sala, alla presenza di rappresentanti di numerosi paesi e di diverse tradizioni religiose.

Un'emergenza planetaria
Oggi, nel mondo, circa 800 milioni di persone soffrono di fame cronica e più di due miliardi sono malnutrite. Eppure ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate, mentre le risorse della terra, le foreste e i mari sono sfruttati in modo insostenibile. “Noi donne e uomini, cittadini di questo pianeta, sottoscriviamo questo documento per assumerci impegni precisi in relazione al diritto al cibo che riteniamo debba essere considerato un diritto umano fondamentale”, questa è l’affermazione contenuta nel preambolo della Carta di Milano, co-promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), dall’EXPO2015 e dalla Fondazione Feltrinelli, al fine di incoraggiare la “partecipazione attiva” per la costruzione di un futuro diverso e migliore.

L'impegno delle chiese protestanti
Nell'ambito della cerimonia, è intervenuto anche il pastore valdese Giuseppe Platone, della chiesa di Milano. Di seguito il testo del suo intervento.
Come chiese protestanti che da decenni riflettono nell’ambito del processo conciliare denominato all’assemblea ecumenica di Vancouver (World Council of Churches/Cec) nel 1983 "Pace, giustizia, salvaguardia del creato", ha detto Platone, firmiamo volentieri la Carta di Milano frutto di un lavoro collettivo di 42 tavoli su temi diversi legati al cibo anche come specchio della nostra realtà planetaria.
L’agenda degli ultimi quarant’anni del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) con sede a Ginevra e quella della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) raccontano di questo nostro impegno. Ricordo un importante pubblicazione a più voci edita dalla Fcei curata dalla sua commissione "Globalizzazione e ambiente" nel 2005: "Il cibo tra eccesso e penuria". Testo al quale rinvio per chi volesse approfondire la nostra posizione di cristiani protestanti sulla materia.

La firma della Carta di Milano
Preliminarmente rilevo che questa occasione è preziosa anche per noi in quanto rappresentanti di diverse realtà religiose qui a Milano che si sono confrontate, prima di giungere a questa firma, in occasione di due precedenti convegni. Non firmiamo in modo formale ma consapevole.
Dall’analisi della situazione mondiale che la "Carta di Milano" propone emerge come quell’obiettivo che tutti perseguiamo del "potere riuscire a garantire un equo accesso al cibo per tutti" sia ancora assai distante. Colmare questa distanza che non permette ancora "l’equo accesso alle risorse naturali o il garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi" è un compito che possiamo e vogliamo affrontare insieme. A cominciare dal praticare stili di vita, all’interno delle nostre stesse realtà religiose, che siano in armonia con gli obiettivi di giustizia e condivisione che oggi sottoscriviamo.

Intreccio tra fede e responsabilità
L’altra questione riguarda l’intreccio tra fede e responsabilità sociale. La salvaguardia del creato in cui noi come esseri umani siamo parte vivente responsabile, la tutela della vita umana e l’equa condivisione delle risorse è questione che riguarda l’intero pianeta vivente e il genere umano. Quest’ultimo, in tanti luoghi del pianeta, è in grandissima sofferenza ed è impedito, anche con la violenza, a realizzare la propria vita con dignità. Come compito primario derivante dalla nostra stessa fede evangelica vogliamo lottare contro ogni ingiustizia che giustifica e mantiene gli squilibri planetari connessi alle possibilità d’ accesso al cibo e all’acqua per ogni essere umano.
I doni di Dio ci sono affidati affinché tutti ne possiamo godere, senza trasformarli in proprietà esclusiva di cui non rendere conto a nessuno; diversamente la nostra impresa finisce in tragedia umanitaria. L’ingordigia svuota il rispetto dei limiti a cui Dio stesso c’invita sin dalla creazione del mondo.

Vita in abbondanza per tutti
Nutrirsi è una questione anche spirituale sulla quale continuare a riflettere a partire dalla tensione, che innerva la nostra società, tra penuria ed accesso, tra egoismi e condivisione. Occorre anche ripensare il consumo di carne, l’eccesso di allevamenti animali a volte condotti in modo disumano dove il consumo (acqua, aria, cereali) sottrae all’alimentazione umana risorse vitali. Il futuro dell’umanità comincia a tavola, a quella mensa a cui per primo Dio stesso ci invita, nessuno escluso. L’accoglienza e la condivisione di ciò che abbiamo perché tutti abbiano almeno l’essenziale per vivere è la cifra concreta della nostra fede in Gesù Cristo che ha dato la Sua vita per tutti noi. Al "mors tua et vita mea" sostituiamo piuttosto il "mors mea et vita tua". O meglio ancora: vita per tutti senza esclusioni a tutte le latitudini.
Questo è l’orizzonte di speranza e di solidarietà che ci anima. Il nostro impegno è lavorare, con credenti e non credenti, per l’unità dell’umanità nelle sue tante diversità dove ogni persona possa avere di che vivere e di che nutrirsi sia spiritualmente sia materialmente.