Limiti alla libertà religiosa in Crimea

Le autorità russe pongono gravi ostacoli all'esercizio della libertà religiosa. Molte comunità non hanno ottenuto il riconoscimento da parte delle autorità e ora incontrano serie difficoltà

31 marzo 2015

(Luisa Nitti) Una anno dopo l’annessione da parte della Russia della penisola, un'indagine condotta da Forum 18 sulla libertà religiosa in Crimea fa sapere che l’imposizione di restrizioni in campo religioso da parte della Russia causa gravi difficoltà per tutti coloro che cercano di mettere in atto il proprio diritto alla libertà di religione e di credo. Singole persone e comunità di fede hanno subito, negli scorsi mesi, controlli e sequestri di materiale religioso, hanno incontrato difficoltà nel recuperare luoghi di culto confiscati nel periodo sovietico, sono state sottoposte a nuove tassazioni e a sorveglianza da parte del governo, leader religiosi stranieri sono stati espulsi, contratti d'affitto sono stati cancellati unilateralmente.
 
Gravi restrizioni della libertà
I membri di numerose comunità religiose hanno fatto sapere a Forum 18 che la legge russa prevede molte più restrizioni sui diritti religiosi rispetto a quella ucraina. Alcuni protestanti hanno comunicato alla Crimean Human Rights Field Mission - iniziativa comune di attivisti russi ed ucraini per i diritti umani - di essere stati costretti a sospendere alcune attività pubbliche, inclusi eventi di carattere sportivo e predicazioni che si svolgevano all’esterno.
Negli ultimi mesi, molte comunità di fede sono diventate più caute nel discutere pubblicamente di argomenti che potrebbero essere intesi come critiche al governo russo, per paura di possibili rappresaglie. E questo implica anche una certa riluttanza a discutere proprio delle restrizioni della libertà di religione e di credo, osserva Forum 18.
Diversi leader religiosi lamentano lo stato di sorveglianza a cui sono sottoposti insieme alle loro comunità. Eppure, sono riluttanti a parlarne apertamente. “Chiese e pastori stanno cercando di distanziarsi dalla politica”, ha detto a Forum 18 un leader protestante. “Ad esempio, i pastori non postano più materiale sui social media. E molto spesso affermano nelle loro prediche che il nostro regno non appartiene a questo mondo”.
 
Solo l’1% di ri-registrazioni
Secondo dati del Ministero della giustizia russo, a un mese dalla chiusura del termine per la ri-registrazione obbligatoria, sotto la legge russa, delle 1.546 comunità religiose presenti in Crimea - e che avevano una registrazione ufficiale presso le autorità ucraine -, solo 14 hanno ottenuto la nuova registrazione sotto il governo russo. Altre due sono state registrate, ma attendono ancora l’approvazione dalle autorità fiscali. D’altronde solo altre 150 domande sono attualmente all’esame. Questo significa che soltanto l’1% circa delle comunità religiose che aveva uno status ufficiale sotto il governo ucraino adesso sono riconosciute dalla legge russa. Senza tale riconoscimento, le comunità religiose possono riunirsi per fini religiosi, ma non possono godere di tutti i diritti di un ente legale, incluso quello di stipulare un contratto di affitto, impiegare personale o invitare persone dall’estero per attività religiose.
 
Difficoltà di natura burocratica
Il termine per la ri-registrazione era stato fissato originariamente al 31 dicembre 2014, successivamente è stato prorogato al primo marzo di quest’anno. Molte comunità hanno anche lamentato il fatto che i documenti da produrre per accedere alla nuova registrazione sono numerosi e richiedono lavoro e spese: sono richiesti fra l’altro lo statuto, alcune registrazioni di meeting della comunità, la lista dei membri aderenti, informazioni sui fondamenti del credo religioso e lettere di garanzia. La procedura risulta faticosa e impegnativa per le chiese: 150 domande circa sono state respinte alla fine del 2014, proprio a causa di errori nella presentazione dei documenti. Questi sono stati rispediti con la richiesta di una revisione.
 
Espulsi ecclesiastici stranieri
Molte comunità religiose hanno dovuto ristrutturarsi nella speranza di poter rientrare nel processo di registrazione presso le autorità russe. Mentre le tre diocesi ortodosse russe sono rimaste parte della Chiesa ucraina ortodossa del Patriarcato di Mosca, molte congregazioni protestanti ed ebree hanno abbandonato - volenti o nolenti - organismi di controllo ucraini per aderire a strutture russe.
In base alle norme del Servizio di migrazione federale della Russia, soltanto le comunità religiose ufficialmente registrate possono invitare cittadini stranieri. Nonostante vigorosi sforzi attuati dalle comunità di fede, 23 imam turchi e insegnanti di religione sono stati costretti a lasciare il paese alla fine del 2014, così come molti preti e suore cattoliche. A 18 anni dalla sua creazione, un piccolo convento a Simferopol è stato costretto a chiudere a novembre dello scorso anno, quando le sue tre suore - provenienti da Ucraina e Polonia - hanno dovuto lasciare la struttura.
Dopo l’annessione russa sono state imposte anche delle leggi per il controllo di materiali ritenuti “estremisti”. Fra questi ci sono anche libri e testi di carattere religioso, molti dei quali in realtà non sembrano affatto incitare alla violenza. Case private, moschee, sale di Testimoni di Geova, sono state oggetto di raid da parte delle autorità russe e molto materiale è stato sequestrato.