Corridoi umanitari verso l'Italia

Un progetto-pilota promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio potrebbe servire da modello per altri paesi europei

19 dicembre 2015

(Gaelle Courtens) Mentre a Bruxelles litigano sulla gestione della crisi migratoria all’interno dell’area Schengen - riaffermando però il controllo delle frontiere esterne della fortezza Europa -, a Roma, qualche giorno fa, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese, hanno lanciato un progetto-pilota per l’istituzione di corridoi umanitari dal Libano, dal Marocco e presto anche dall’Etiopia.

Accordo con le autorità italiane
Il protocollo d’intesa sottoscritto con il Ministero degli affari esteri e con quello dell’Interno, prevede per ora la possibilità per 1000 profughi in condizione di altissima vulnerabilità di ottenere un visto per motivi umanitari. Quelle persone potranno arrivare in Italia in sicurezza e per vie legali. Certo, 1000 sono una goccia nel mare, è il caso di dirlo, ma eviteranno esattamente quel mare, quel viaggio della morte, che solo nel 2015 è costato la vita a più di 3500 persone, tra cui tanti, troppi bambini, in fuga da guerra e persecuzione. Persone che in virtù dei trattati internazionali avrebbero avuto diritto alla protezione.

Applicazione di una norma finora disattesa
La norma che permette tutto ciò sta scritta nero su bianco nell’art. 25 del Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 che istituisce il Codice comunitario dei visti, e che prevede la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata "per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen. Una norma che non ha trovato finora applicazione, anche perché in realtà lascia alle singole ambasciate un’altissima discrezionalità in merito. Di qui l’estrema importanza della collaborazione del Ministero degli Affari esteri nell’istruire le proprie ambasciate in loco. Una volta accolti in Italia dalle organizzazioni promotrici, ovviamente i profughi potranno presentare domanda di asilo, e qui sarà fondamentale la collaborazione con il Ministero dell’Interno. Grazie all’accordo sottoscritto con le autorità competenti, per la prima volta, profughi già ad altissimo rischio almeno non dovranno rischiare la loro vita nei viaggi della disperazione.

Un modello per l'Europa
L’auspicio dei promotori del progetto-pilota è quello che anche altri paesi dell’area Schengen possano avviare sperimentazioni analoghe. Sono convinti che si tratta qui di una buona pratica, un modello che può essere riproposto in tutta Europa. Non c’è motivo per cui paesi come la Svizzera, la Norvegia, l’Austria, il Lussemburgo e altri, che per ovvi motivi non saranno mai paesi di “primo approdo” come recita il Regolamento di Dublino, non possano applicare lo stesso dispositivo. Quante vite si potrebbero salvare, e a quanti scafisti e trafficanti di uomini si bloccherebbe il micidiale business, semplicemente applicando una norma già esistente per tutta l’area Schengen? Ma c’è di più: a parte che i costi per queste operazioni - rispetto per esempio a quanto andremo presumibilmente a spendere per l’innalzamento della fortezza Europa tramite guardie ad hoc - sono assolutamente sostenibili, il problema dei ricollocamenti dei profughi in Europa potrebbe essere già risolto a monte. La questione è aperta. (da Riforma.it)