Il Corano incita alla violenza?

Quanta violenza si trova nelle tradizioni religiose? E nel Corano c'è un incitamento all'uso della forza? Due esperti, un cristiano e una musulmana, a confronto

03 gennaio 2015

Il terrorismo islamista suscita un dibattito sulla presunta violenza connaturata alla religione stessa. Il presidente del Consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata di Zurigo, Michel Müller, e la studiosa islamica svizzera Rifa'at Lenzin (vedi scheda biografica) rispondono ad alcune domande su questo ed altri temi.

Michel Müller, lei ha paura dell'islam?
Müller: No. Ma mi angosciano le notizie sulla persecuzione di cristiani e di altre minoranze religiose in Iraq e in Siria. Tuttavia la milizia terroristica Stato islamico IS non rappresenta l'islam.

Quanto la colpiscono, signora Lenzin, i titoli negativi che i media - sulla scia della guerra in Siria e in Iraq - riportano parlando dell'islam?
Lenzin: Sto vivendo un déjà vu. Il giudizio indiscriminato nei confronti dell'islam, la richiesta di prendere le distanze dal terrorismo, tutto replica adesso ciò che abbiamo vissuto dopo l'11 settembre 2001. Allora sorsero molte iniziative valide, la maggioranza prese a dialogare con la minoranza. A volte mi domando se tutto il lavoro di comprensione e gli sforzi per un dialogo interreligioso non siano stati vani.

Michel Müller, lei ha ipotizzato recentemente, sul mensile “reformiert.” una messa al bando del burqa in Svizzera. Perché?
Müller: È vero, quando l'estate scorsa, in riva al lago di Zurigo, ho visto una donna con il velo integrale che seguiva il marito vestito all'occidentale, ho provato irritazione. Mi sono sentito provocato. Sul foulard non c'è bisogno di discutere. Ma qui in Svizzera i burqa non li voglio.

E senza le notizie attuali si sarebbe sentito meno provocato?
Müller: Forse sì. Gli arabi ricchi fanno le vacanze in Svizzera e con la loro ricchezza hanno magari finanziato il gruppo terroristico IS. Può sembrare populista, ma si arriva presto a questa conclusione. Perciò l'attuale situazione politica internazionale gioca un ruolo determinante.

Lenzin: Stiamo portando avanti un dibattito sui fantasmi. Temiamo il fantasma e quando davvero ci compare davanti siamo terrorizzati. Probabilmente anche alcuni musulmani svizzeri si irritano quando incontrano una donna con il burqa. Una messa al bando agevola la provocazione anziché sconfiggerla.

Molte cose che sono ritenute provocatorie, sono proibite. Deve essere così anche per il burqa?
Lenzin: Non voglio difendere il burqa, sia chiaro. Da persona audiolesa ho anzi la necessità che chi mi parla mi mostri il suo viso, altrimenti non capisco nulla. Ma qui parliamo di libertà religiosa. Questo diritto fondamentale non deve essere limitato attraverso prescrizioni per l'abbigliamento. Io sono una fautrice di una società aperta.

Müller: Chi va in giro nudo può essere punito per oltraggio al pudore e non può appellarsi alla propria libertà personale. Nemmeno per me è accettabile quando delle donne nel nome del femminismo si denudano in una chiesa. Allo stesso modo da noi è richiesto che si mostri il volto.

I critici dell'islam si spingono ancora più in là: l'islam sarebbe incompatibile con lo Stato di diritto...
Lenzin: Potrei ribattere ricordando che anche il cristianesimo e la democrazia non sono andati a lungo d'accordo. Non si dovrebbe chiedere ai critici dell'islam come bisogna intendere l'islam, bensì ascoltare ciò che i musulmani dicono.

Müller: Stiamo davvero portando avanti un dibattito distorto. Il Consiglio centrale islamico svizzero viene continuamente interpellato dai media perché offre il destro per titoli a caratteri cubitali che poi circoli islamofobi volentieri riprendono. Mi dispiace, ma qui c'è proprio da indirizzare una critica ai media.

Ma i musulmani moderati prendono adeguatamente le distanze dai fondamentalisti?
Lenzin: Non saprei da che cosa dovrei prendere le distanze. Che cosa ho a che fare io con un gruppo terroristico che in Iraq compie crimini efferati? Fondamentalmente mi disturbano questi rituali di presa di distanza.

Müller: Capisco che i musulmani non vogliano essere esposti al giudizio generalizzato. Ma se nel nome della mia religione, che è propriamente un messaggio d'amore, vengono commesse azioni terribili, allora sono tenuto a prendere posizione.

Allora il Consiglio sinodale zurighese avrebbe dovuto prendere le distanze anche dalla persecuzione contro gli omosessuali in Africa motivata su basi cristiane?
Müller: Se mi venisse chiesto, lo farei. Ciò che accade lì nel nome della fede è terribile. Il protestantesimo ha avuto continuamente problemi di giustificazione. Penso a Ian Paisley, morto recentemente. Il provocatore nel conflitto nordirlandese era per noi una spina nella carne della fede. O alla chiesa protestante bianca in Sudafrica, che aveva addirittura costruito una giustificazione teologica dell'apartheid. Su questi temi, noi, in quanto fratelli nella fede, dobbiamo prendere posizione.

Lenzin: Anche le associazioni musulmane hanno preso le distanze. Ma per i giornali la cosa non meritava più di una notizia in breve. Come sempre è anche una questione di risorse.

Müller: Questo è il mio rimprovero alla Conferenza dei vescovi, che ha notoriamente chiesto alle associazioni musulmane di prendere pubblicamente tali distanze. I vescovi immaginano che i musulmani abbiano le stesse possibilità degli organismi cristiani nelle pubbliche relazioni. Non sarebbe male che anche un vescovo prendesse parte alla nostra Tavola rotonda. Allora potrebbe dialogare con i musulmani.

Ma l'islam non ha alcun problema di violenza? Dopotutto, alcuni passi del Corano giustificano la violenza...
Müller: Certamente il Corano ha un problema di violenza. E anche la Bibbia ha un problema di violenza, in quanto è l'umanità ad avere un problema di violenza. Persino Gesù, che predicava la nonviolenza, cento anni fa - all'epoca della Prima guerra mondiale - veniva usato per fare propaganda bellica.

Lenzin: Naturalmente ci sono sure nel Corano che possono essere usate per rafforzare il cliché della religione violenta. Da questo si fa derivare un'immagine sinistra dell'islam che già nel primo periodo i cristiani dipinsero allo scopo di criticare il Corano. Ma ciò non corrisponde in alcun modo allo stato attuale della ricerca.

Ed è facile giungere alla conclusione che il mondo sarebbe più pacifico senza religione...
Müller: Questo è quanto si ripete nelle pagine dei lettori e nei forum, ma che è confutato dagli eventi del 20. secolo. Credo che le religioni, insieme, debbano mostrare quanto sia grande il loro potenziale di pace. Devono anche spiegare che chi vuole legittimare la violenza mediante la religione, sbaglia.

Come bisogna intendere allora il concetto di guerra santa esposto nel Corano?
Lenzin: Abbraccia più aspetti, e quello politico militare è soltanto uno di questi. Inoltre il jihad è sempre stato anche un concetto spirituale. Si distingueva tra il grande jihad, che è la lotta contro il proprio io e al quale si attribuisce un significato maggiore, e il piccolo jihad, che concerne l'impegno militare. A creare problemi non sono i passi del Corano che sono inseriti in un contesto storico e storico-salvifico, bensì la loro interpretazione. Gli attuali jihadisti non soltanto ne limitano la valenza all'ambito militare, ma non prendono nella dovuta considerazione la definizione di incredulità. Definiscono increduli tutti coloro che non sono d'accordo con il loro modo di vedere. Può trattarsi di cristiani, di ebrei o di atei, ma anche e soprattutto di musulmani. Questo atteggiamento ideologico radicale corrisponde specularmente a quello dei commentatori occidentali che riprendono volentieri e acriticamente le argomentazioni dei combattenti jihadisti e presentano quella loro interpretazione del jihad come l'unica valida.

Ma è davvero possibile una contestualizzazione storico-critica del Corano? Non sono gli stessi musulmani a sostenere che esso è la restituzione fedele di una rivelazione?
Lenzin: La questione è abbastanza complicata. Il Corano è la parola di Dio nel linguaggio umano. Ma è stato creato dagli uomini o viene da Dio? È una questione che si discute fin dalla comparsa dell'islam. L'esegesi classica del Corano non ignora il contesto storico nel quale è apparso il Libro, ma il rapporto con il Corano è arduo e richiede molta cautela, in quanto si tratta del cuore religioso dell'islam. Il Corano è per l'islam ciò che Cristo è per il cristianesimo. In esso si rivela Dio, come nel cristianesimo si rivela in Gesù Cristo.

Müller: Dietro non c'è l'immagine di un Dio di cui gli uomini devono avere paura? Non appena c'è di mezzo la sacra scrittura le cose si fanno rischiose. Forse Dio ha dato agli uomini questo libro con l'incarico di metterlo in pratica in tutta libertà e pluralità di vedute. La paura allora deve essere superata. Questo vale non soltanto per l'islam, ma anche per la lettura della Bibbia.

Che cos'è il Corano per lei, signora Lenzin?
Lenzin: Il Corano è la parola di Dio.

E che cos'è la Bibbia per lei, signor Müller?
Müller: Direi la stessa cosa. La Bibbia contiene testi autorevoli per tutti i cristiani, gli autori della Bibbia e i suoi protagonisti parlano delle loro esperienze con Dio.

Lenzin: Se sento il Corano in una bella recitazione in arabo sorge in me la sensazione di sentire Dio. È una sensazione non giustificabile intellettualmente. È una questione di fede. Come per i cristiani, che sono convinti di incontrare in Gesù Cristo l'incarnazione di Dio. (da reformiert.; intervista a cura di Felix Reich e Delf Bucher)