Margot Kässmann, educare alla libertà

Il ruolo dell’educazione nello sviluppo della vita spirituale

01 gennaio 2015

(Margot Kässmann) L’educazione religiosa ha per me, come cristiana, due componenti: da un lato l’atteggiamento di chi educa e dall'altro la trasmissione della tradizione di fede.
Per quanto riguarda l’atteggiamento, per me è decisivo che i bambini vengano educati a essere persone che pensano liberamente e che hanno il coraggio di impostare la loro vita, nei suoi momenti alti e bassi, confidando in Dio. Tuttavia i bambini in passato venivano percossi, puniti e umiliati in nome del Signore. Era una pedagogia basata sul libro biblico dei Proverbi: “Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama lo punisce per tempo” (Proverbi 13,24). Anche nel Nuovo Testamento venivano individuati dei passi che indicavano in un’educazione severa il giusto cammino: “Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga?” (Ebrei 12,7). E così c’erano genitori convinti che una corretta educazione cristiana consistesse nel rigore, nella pressione e nel castigo.
 
Cammino nonviolento
Che grande errore! Nel frattempo è stato dimostrato che un’educazione priva di violenza rafforza il carattere. E da alcuni anni è stata introdotta in Germania una legge che riconosce ai bambini il diritto a essere educati senza violenza.
Chi ha visto il film “Il nastro bianco” (“Das weisse Band. Eine deutsche Kindergeschichte”, del regista Michael Haneke, 2009, ndr.)  può comprendere quanto ciò fosse necessario e quale lungo cammino sia stato percorso per arrivarvi. È angosciante come nel film i bambini siano totalmente in balia dei loro genitori ed è deprimente vedere come anche il pastore - peraltro benintenzionato - e sua moglie castighino e umilino i loro figli. Alla fine del film si spiega come ciò abbia potuto contribuire alla cresciuta di una generazione che di fronte al nazionalsocialismo ha reagito con l’ubbidienza invece che opporre resistenza.
Dopo la seconda guerra mondiale si è continuato ad utilizzare metodi di educazione coercitivi, in particolare nei collegi e nei riformatori. Bambini e ragazzi erano affidati a questi istituti spesso per ragioni del tutto inconsistenti. E lì essi dovevano sopportare umiliazioni, percosse, fame e violenza anche sessuale. Tutto questo è successo anche in istituti cristiani, e ciò mi colpisce e addolora profondamente.
 
Educare alla libertà
Noi, in quanto cristiani, crediamo che Dio stesso è stato bambino. E allora come si può vessare o mortificare coscientemente un bambino? Il processo di rielaborazione di quel lungo capitolo della storia dell’educazione è stato lungo e amaro e non è ancora concluso. Le vittime continuano ancora oggi a soffrire: per troppo tempo esse hanno dovuto tenere nascoste le proprie storie.
Oggi sappiamo che i bambini che crescono nella libertà e che vengono rispettati nella loro individualità sono più coraggiosi. L’educazione deve considerare i bambini come creature di Dio a noi affidate; ciò non ci condurrà all’annullamento di ogni regola o di ogni limite. Come madre di quattro figlie so bene quanto ciò sia difficile, ma il rispetto per il bambino vieterà di dare semplici comandi senza spiegare anche le motivazioni. La puntualità, ad esempio, non è di per sé una virtù, ma è un presupposto del vivere insieme: se delle persone vogliono mangiare insieme, occorre che arrivino puntuali a tavola.
 
Pedagogia e teologia
Parlare di educazione alla libertà mi porta inevitabilmente a ricordare il principio formulato da Lutero: “Il cristiano è un libero signore di tutte le cose e non è sottoposto a nessuno. Il cristiano è un fido servitore di tutte le cose ed è sottoposto a tutti”. Trovo che questa sia una formulazione geniale. I bambini dovrebbero sapere di valere qualcosa, e di avere il diritto ad essere rispettati. In Brasile ho visitato una volta un progetto cristiano per l’infanzia. I bambini di quella favela hanno eseguito per i visitatori una canzone, accompagnandosi con dei movimenti di danza. “Questo è il mio corpo, nessuno può toccarlo”, diceva il canto. Quei bambini erano di età compresa tra i 3 e i 5 anni! Sono rimasta colpita, perché si comprendeva chiaramente in quale situazione pericolosa si trovassero. Eppure, tramite quella canzone, gli educatori stavano trasmettendo loro un’impressionante consapevolezza di sé. Avere una propria dignità, questo è ciò che va trasmesso: una volontà che non viene spezzata, e il coraggio di lottare per le regole. In definitiva, è questo ciò che è in gioco.
 
Compito faticoso
Non voglio edulcorare le cose: tutto ciò richiede una grandissima energia. I bambini non dovrebbero certamente divenire tiranni come Michael Winterhoff ha mostrato così drammaticamente nel suo best seller (“Figli o tiranni? Chi comanda oggi in famiglia? La sorprendente analisi di un fenomeno sempre più diffuso”, TEA 2010, ndr.).
E i bambini non sono neanche i migliori amici dei loro genitori: i ruoli devono essere chiari. Tuttavia il rispetto reciproco, un atteggiamento di attenzione e un’educazione alla libertà sono, a mio modo di vedere, principi fondamentali dell’educazione. In ciò quella della fiducia mi sembra essere la categoria decisiva. Anche io ho avuto da bambina e da adolescente conflitti con i miei genitori, ma avevo una fiducia incrollabile nel fatto che in ogni situazione della vita avrei trovato presso di loro una porta aperta. Così ho educato le mie quattro figlie, e oggi constato che la mia figlia maggiore trasmette a sua figlia questa stessa fiducia.
 
Educare alla fede
Naturalmente ho voluto anche trasmettere la mia fede. Non capisco i genitori che dicono che i loro figli dovranno un giorno scegliere da soli in che cosa credere. Noi infatti trasmettiamo ai nostri figli ciò che amiamo, ciò che ci costituisce: tradizioni, lingua, atteggiamenti e valori. Perché non anche la fede e la religione? Certamente un figlio potrà un giorno decidere da solo se in questa religione è a casa sua o meno. Tuttavia, deve sapere per che cosa o contro che cosa si decide!
I bambini hanno bisogno di religione. Infatti hanno domande profonde e religiose. Ad esempio essi chiedono: “come tratta Dio gli uomini cattivi?”, oppure “perché Dio non mi fa guarire?”, oppure “sai tu dov’è mio nonno che amavo tanto?”. Trovo che sia una grave dimostrazione di incapacità se queste domande vengono messe a tacere con un lapidario “boh, non lo so”.
Ritengo importante che i bambini conoscano storie, preghiere, riti e canti che li facciano sentire a casa propria nella tradizione cristiana e che diano loro un sostegno nei momenti di gioia e soprattutto nelle difficoltà dell’esistenza. È dunque compito dell’educazione cristiana continuare a raccontare le storie della Bibbia. E i bambini le ascoltano volentieri! I grandi racconti di Adamo ed Eva, di Caino e Abele, di Giacobbe ed Esaù, di Giuseppe e dei suoi fratelli sono racconti della fede, ma al tempo stesso anche storie dell’umanità, storie educative. È importante conoscerle per capire, per mezzo loro, quanti e quali conflitti possano esserci e come la fiducia in Dio valga a renderci forti e ad affrontare le prove.
 
Rituali e preghiere
I bambini hanno bisogno anche di preghiere. Quanto è importante, nell’angoscia e nei momenti difficili, conoscere una preghiera! Io ho continuamente fatto esperienza di questo nella cura pastorale. Non poter pregare rende la nostra vita povera e misera. C’è un vecchio film, in bianco e nero, dal titolo “Questi nostri genitori” (“Das dappelte Lottchen”, una commedia del regista Josef von Bàky, del 1950, ndr.). A un certo punto le protagoniste, due ragazze, stanno davanti alla porta chiusa dietro a cui i genitori discutono animatamente e litigano. Una sospira: “Adesso dovremmo pregare”; l’altra dice: “Vieni Signore Gesù e sii nostro ospite e benedici ciò che ci hai donato!”. Certamente la preghiera non è adatta alla situazione - anzi, suscita l’ilarità del pubblico proprio perché è del tutto fuori luogo -, ma comunque quella ragazza conosce ancora una preghiera che può dare forma e parole alla sua angoscia. Ecco perché credo che imparare a pregare apra nuovi orizzonti.
Accanto alle storie della fede e alle preghiere ci sono per me i rituali, nei quali i bambini dovrebbero crescere. Per i bambini i rituali hanno un grande significato, anzi, i bambini amano i rituali, e i rituali formano loro e i ricordi che anche da adolescenti avranno della propria infanzia. Questo vale anche per i funerali e il lutto. Chi esclude i bambini da tutto ciò li lascia da soli con domande come: “Dov’è adesso il nonno? Che cos’è accaduto?”. Le fantasie che sorgono in queste situazioni possono essere molto dannose. Trovo molto singolare il fatto che in Germania sia permesso che i bambini, prima del loro quattordicesimo anno di età, vedano mediamente 18.000 persone morte o morenti alla televisione, ma che poi si dica che essi non possono essere portati a un funerale. I rituali ci aiutano a dare forme al lutto e a superarlo.
 
Dare l’esempio
Accanto al pregare, anche il cantare appartiene all’educazione cristiana. Gioire con un canto o cantare nello sconforto: “Wer nur den lieben Gott lässt walten…” (“Affidate ogni cosa a Dio”, un canto cristiano composto da Georg Neumark, nel 1641, ndr.) oppure “…dies Kind soll unverletzt sein!” (“Questo bimbo sia protetto”, un verso del celebre inno “Breit aus die Flügel beide o Jesu meine Freude”, il cui testo fu scritto dal poeta Paul Gerhard, ndr.) fa bene all’anima. I canti possono risuonare in noi anche quando noi non possiamo più parlare.
Dovremmo imparare nuovamente a cantare perché, come ha detto il musicologo ed esperto di pedagogia del canto Karl Adamek, “le anime ammutoliscono” quando il canto viene meno. Chi canta - è stato dimostrato - è fisicamente e psichicamente più sano. Come ha dichiarato l’Unione dei Cori ecclesiastici evangelici in Germania, “cantare è la migliore risposta che si possa dare al PISA (Programme for International Student Assessment, ndt.)”!
 
Pensare con la propria testa
Anche per quanto riguarda l’educazione religiosa, i modelli sono i genitori, i nonni, la famiglia e le altre persone che compongono l’ambiente in cui cresce il bambino. Mediante il loro esempio, essi mostrano come la fede venga messa in pratica. Più tardi, l’insegnamento della religione e il catechismo potranno fornire gli strumenti per rivedere criticamente ciò che è stato appreso in famiglia. Le norme e i valori di fede tramandati e ricevuti potranno così essere fatti propri. Ciascuno può e deve infatti “pensare con la propria testa”: anche questo, secondo me, un importante principio dell’educazione cristiana. (trad. it. E. Gamba, adattamento P. Tognina)